Alla mia età posso essere considerato un figlio del
secolo. Ho attraversato quest'epoca tumultuosa dai primi anni della mia infanzia fino ad
oggi, e posso dunque considerarmi un "testimone" del secolo passato: uno che
può richiamare alla memoria le cose accadute e domandarsi che cosa abbia a che fare la
filosofia con la situazione odierna. La nostra è un'epoca segnata dalle conseguenze degli
enormi sviluppi tecnologici avviati dalla rivoluzione industriale. Alla fine di
quest'epoca, ossia nella seconda metà del nostro secolo, negli anni della ricostruzione,
dopo le due guerre mondiali, la rivoluzione industriale ha di nuovo raggiunto le
proporzioni di un'onda immane che tutto sommerge e trascina.
D'altra parte i grandi mutamenti politici degli ultimi anni hanno restituito alla vecchia
Europa almeno una parte della sua estensione originaria, e, come gli altri grandi
mutamenti, questa vicenda europea ha in realtà una portata mondiale.
La vecchia Europa è
legata strettamente all'America del Nord, che nel segno della rivoluzione industriale
continua ad esercitare e anzi ad accrescere il suo ruolo guida in un'epoca nella quale i
mezzi di informazione e di riproduzione tecnica riversano su di noi un continuo flusso di
stimoli. Ci troviamo di fronte ad un problema che mette in questione l'intera struttura
della nostra vita, il problema cioè della crescita e del predominio di un sistema anonimo
all'insegna della scienza e della tecnica.
Quello che oggi chiamiamo scienza è - com'è noto - una creazione
dell'età moderna che ha avuto inizio con Galileo Galilei. Fino ad allora le capacità
inventive dell'uomo si erano limitate più che altro a riempire gli spazi lasciati vuoti
dalla natura. Ecco ora, invece, aprirsi una nuova epoca, in cui l'ingegno umano impara a
riprodurre artificialmente gli oggetti naturali e, addirittura, a costruire una nuova
realtà. Il metodo scientifico diviene così la nuova forma atta a dominare la natura, che
così viene ridotta a campo da dominare e non è più considerata come madre della vita.
Un progresso, questo, straordinario, destinato però a produrre lentamente il predominio
delle scienze nella vita umana. E infatti l'altra linea di pensiero, quella che cerca di
argomentare razionalmente intorno agli eventi umani, intorno alla storia, non poteva
reggere il confronto con le moderne scienze sperimentali, nonostante quei pensatori che,
come Vico, proprio qui a Napoli, rivalutavano il valore teoretico e pratico della retorica
a fronte di un approccio conoscitivo basato sul metodo oggettivante.
Noi viviamo oggi in una società che potremmo definire in senso lato una società delle
scienze; una società dove l'opinione pubblica e la politica dell'informazione sono
guidate e manipolate sulla base dei risultati delle scienze. Sta qui, a mio parere, il
vero pericolo di un possibile abuso della scienza. Tutti i risultati della scienza moderna
sono caratterizzati dall'oggettività metodica come sinonimo di anonimità. Nella nostra
epoca, nell'epoca del predominio delle scienze naturali e matematiche, la grande
"vittoria" delle scienze moderne appare sempre più come un appiattirsi nel
monologo, i cui caratteri distintivi sono la chiusura individualistica e la mancanza di
ogni fede. Questo è un chiaro segno, peraltro, dell'indebolirsi e del venir meno
dell'educazione all'interno della famiglia, dove l'autorità dei genitori viene oggi
sostituita dall'autorità dei messaggi diffusi dai mass-media.
Già il grande sociologo Max Weber aveva definito la nostra epoca come l'epoca della
burocratizzazione. Viene così alla luce una nuova problematica: da una parte cresce la
domanda di regole e controlli, dall'altra, e per conseguenza, la possibilità di abusi di
potere. Ogni sistema regolato richiede uno sforzo di adattamento alle regole; ma a sua
volta ogni regolazione deve fare i conti con il continuo mutare delle situazioni reali,
coi bisogni, le esigenze, le attese degli uomini. L'adattamento alle regole e l'autonomo
giudizio personale sembrano difficili da conciliare. Si può dire anzi che la civiltà
europea con tutti i suoi grandi successi stia sviluppando una fisionomia sempre più
unilaterale, in cui i comportamenti degli uomini sono stilizzati da regole imposte da
un'autorità anonima.
Come risultato finale di questa diagnosi posso dire che il canone della scienza moderna è
ormai rappresentato dal talento dell'adattamento. Contro questo appiattimento io rivolgo
il mio anelito ad un futuro che sia basato sulla creatività, sulla libertà, sul rischio
- se volete - dell'errore. Oggi il nostro compito diventa sempre
più arduo di fronte alla necessità di affermare la convivenza tra culture e lingue
diverse, tra differenti confessioni e fedi religiose. La crisi ecologica, il problema
atomico non sono limitati alla sola Europa ma mettono in questione la sopravvivenza
dell'intera umanità e della vita stessa.
Nel 1946 fui eletto Rettore, il primo dopo la guerra, dell'Università di Lipsia nella
Germania dell'Est, ma poi rinunciai a questa posizione per un incarico d'insegnamento
prima a Francoforte e poi a Heidelberg. A Lipsia fui pregato di scrivere qualche parola
nell'albo che accoglieva le firme dei visitatori ufficiali. Oggi voglio riprendere le
parole che scrissi allora: pazienza e lavoro, perché il compito è gigantesco e
nient'altro ci può salvare. A quel tempo mi chiedevo tuttavia se un giorno sarebbe nata
un'istituzione che fosse in grado di risvegliare a nuova vita la nostra tradizione
culturale ormai irrigidita dalle regole di una società burocraticamente organizzata e
finalizzata all'ideale del profitto economico. Era mai possibile una tale istituzione?
Oggi, come membro dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici posso affermare che ciò
è possibile. Questa iniziativa infatti fu proposta dall'avvocato Gerardo
Marotta, pur tra
le riserve da parte dell'Università, allora incredula sulle possibilità di successo di
questa ardua impresa. E indubbiamente l'impresa era ambiziosa perché essa voleva
affrontare un problema che gravava sull'Università: il pericolo della crescente
specializzazione e del carattere monologico dell'insegnamento e del sapere. Questo
pericolo io lo sentivo in modo vivissimo e fu questo che mi spinse a cooperare alla nuova
istituzione voluta da Gerardo Marotta.
Ma in che senso "nuova"? In effetti già prima della fondazione dell'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici esisteva in Germania e in America una istituzione
all'interno dell'Università, uno Studium generale che aveva un carattere
interdisciplinare, ma solo parzialmente e marginalmente toccava il problema di come
assicurare un rapporto dialogico tra gli studenti e il docente. L'interdisciplinarietà e
il dialogo non sono marginali ma, al contrario, sono al centro dell'interesse
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la cui attività fondamentale sta nei
"seminari", un'attività in cui, come dice il nome, si gettano dei semi
destinati a germogliare su un comune terreno spirituale, in quel "Leben in
Ideen", di cui parlava Humboldt e che io ho proposto quasi ad emblema dell'Istituto.
Perciò ritengo che lo scambio di idee e la forma dialogica con la quale l'Istituto opera
suscitino, specialmente presso i giovani, maggiore interesse che non la prospettiva di una
rapida carriera accademica.
Spero, pertanto, che questa "nuova" istituzione non resti l'unica, ma sia
modello per tutta l'Europa e per tutti quei paesi del mondo che si prefiggano lo scopo di
realizzare una cultura libera da rigidi schemi precostituiti, all'insegna di una
solidarietà che sia garanzia di pace. Bisognerebbe, a questo scopo, superare un ostacolo
di fondo: la subordinazione delle regioni economicamente svantaggiate rispetto a quelle
favorite dal progresso tecnologico. Cultura ed economia debbono andare di pari passo.
Tanto più oggi, quando l'intera economia mondiale, anche quella degli Stati
tecnologicamente avanzati, comincia ad essere minacciata dai pericoli prodotti dal divario
tra paesi ricchi e paesi poveri. Per far fronte a questa situazione di crisi, è
necessario appellarsi alle nuove generazioni, alla flessibilità della gioventù come leva
per una riorganizzazione della vita non secondo domini separati ma sulla base di una
crescente solidarietà. Questo è il compito al quale, come suggerivo, bisognerebbe
assolvere con pazienza e lavoro. |