Per un’Europa intellettuale
Siamo arrivati alla fine di questa giornata che, come quella di ieri all’Istituto Italiano di Cultura, è stata ricca d’interventi, nei quali si sono espresse l’ammirazione e la riconoscenza che dobbiamo avere per questa realizzazione assolutamente eccezionale ed originale, non solo in ambito italiano ma anche europeo, che è dopo trenta anni l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
Da parte mia, ho il rimpianto di aver lasciato Napoli proprio nell’anno in cui nasceva l’Istituto, cosicché l’ho scoperto solo dopo una diecina di anni, quando esso aveva raggiunto il pieno sviluppo e i nostri cammini si sono incrociati.
In quel tempo, avevo scelto di dedicarmi ad una istituzione anche essa atipica, la Maison des Sciences de l’Homme, che con meno mezzi e meno libertà di iniziativa, ma animata dalla medesima esigenza, cercava di partecipare ad una impresa di cui si sentiva sempre più la necessità, vale a dire la costruzione di un’Europa intellettuale: un’Europa che gli stessi sviluppi della costruzione comunitaria rendevano necessaria, non essendo possibile altra definizione delle sue frontiere che quella culturale. Era l’epoca in cui Fernand Braudel suggeriva che in ciascuna tappa della storia d’Europa le sue frontiere erano state disegnate dall’eco di un grande rinnovamento culturale. C’erano state, così, un’Europa romana, un’Europa gotica, un’Europa barocca, la cui successione si era accompagnata ad un progressivo allargamento dello spazio coinvolto. E c’è stata, beninteso, un’Europa dell’Illuminismo, ancora più estesa, che poi sarebbe stata quella della Rivoluzione: è quella che per Gerardo Marotta e il suo Istituto è l’Europa per eccellenza.
I campi disciplinari delle nostre due istituzioni non erano esattamente gli stessi. L’Istituto si era sviluppato con al centro un rapporto molto stretto tra filosofia e storia – e sono felice che Michel Vovelle ne abbia ricordato l’importanza perché questa “alleanza”, in rapporto alla rivoluzione del 1799, mi sembra essenziale nella storia intellettuale dell’Istituto. La Maison des Sciences de l’Homme, da parte sua, aveva delimitato la sua sfera d’interessi in un campo, quello delle scienze umane, senza privilegiare l’uno o l’altro legame tra discipline, anche se gli storici vi svolgevano un ruolo importante. La direzione in cui muoversi era stata fissata da Fernand Brandel nel suo celebre saggio sulla lunga durata: “tutte le scienze dell’uomo parlano la stessa lingua… o almeno possono parlarla”. Si trattava di scoprire e promuovere questa lingua comune delle nostre discipline.
Non è dunque per caso che, nel Catalogo delle pubblicazioni dell’Istituto, la Maison des Sciences de l’Homme appare spesso associata alle iniziative di quest’ultimo: abbiamo ben presto capito (e la caduta della cortina di ferro ha confermato le nostre anticipazioni e ha reso possibile ciò che prima non lo era tanto, o lo era con molte difficoltà) che l’apertura europea era essenziale e che gli intellettuali dell’Europa della fine del ventesimo secolo e dell’inizio del ventunesimo, dovevano essere innanzitutto
multilingue. Essi debbono parlare italiano, spagnolo, inglese, tedesco, francese - nonché arabo, dal momento che l’Istituto pubblica la traduzione in arabo di una rivista di astronomia. È per l’Europa una importante scommessa quella di essere un’Europa non monolingua ma multilingue e perciò un’Europa dei traduttori. È dunque una cosa molto bella che sia stata fortemente sottolineata la convergenza, tra la traduzione di Giordano Bruno presentata ieri e il convegno odierno: bisogna ad ogni costo mantenere le diversità della cultura europea che fanno la ricchezza del nostro patrimonio comune.
Ora, se c’è qualcosa che deve unirci ancora più strettamente per il futuro, è ciò che ci resta da costruire nel corso del prossimo decennio, che a questo riguardo sarà decisivo: vale a dire rapporti equilibrati tra quella cultura europea che sta tanto a cuore all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e le altre grandi culture del mondo, con le quali dovremo sempre più imparare a dialogare. Ma anche a questo riguardo l’Istituto – ad esempio, con la filosofia indiana - ha fatto da battistrada e, dunque, ha tracciato una via per il futuro che certamente cercheremo di percorrere insieme.
È dunque un onore, per noi tutti che siamo qui riuniti, aver lavorato da vicino o da lontano, e più o meno strettamente, con l’Istituto, ed è un impegno per l’avvenire quello di continuare questo lavoro in comune. E non riusciremo mai ad esprimere con adeguato calore la nostra gratitudine a Gerardo Marotta per quest’opera eccezionale che egli ha saputo costruire e condurre a buon fine. Quest’opera è per noi un modello.
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