La vocazione meridionale ed europea dell’Istituto
L’opera svolta dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – inventato e voluto con tenacia, passione e sacrificio personale da Gerardo Marotta – non ha bisogno, per essere elogiato, della retorica: è rilevante di per sé, per qualità e quantità d’iniziative, per pubblicazione di testi, per la concreta circolazione del pensiero che ha realizzato, per la straordinaria rete di rapporti umani e scientifici che ha saputo stabilire. Del resto, l’importanza dell’Istituto è testimoniata dal giudizio dei più illustri rappresentanti della cultura mondiale: da Gadamer a
Kristeller, da Calogero a Gaiser, da Gabrieli a Irving Lavin e tanti altri.
La realtà dell’Istituto, la sua vita insieme fantasiosa e organizzata fanno parte ormai della storia di Napoli: ciò è meno sorprendente di quanto vorrebbero alcuni luoghi comuni sui suoi cittadini, portati ad esempio di genio e sregolatezza. Chi ha qualche familiarità con la storia di Napoli sa che questo non è vero: semmai, in un certo senso, è vero proprio il contrario. A Napoli la cultura e il pensiero non sono mai stati elucubrazioni soggettive, riflessioni di “filosofi monastici e solitari”, come avrebbe detto Vico, perché le riflessioni si sono tradotte in dialogo, impegno civile e organizzazione. Dalle Accademie
sei-settecentesche, nelle quali medici fisici e filosofi lavoravano insieme per rinnovare cultura e vita civile, alla Scuola di Francesco De Sanctis, all’Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Benedetto Croce, il pensiero a Napoli ha cercato forme d’organizzazione e si direbbe di visibilità, per la profonda convinzione che la cultura s’intreccia con la storia civile dell’umanità. Fu il Croce napoletano a fondare la categoria dell’etico-politico, dando a quella convinzione forma teorica. Era dunque proprio Napoli la città che, più di altre in Italia, poteva costruire questa straordinaria sintesi, che l’Istituto per gli Studi Filosofici rappresenta, tra pensiero e vita civile. In questo senso, l’ispirazione dell’Istituto è profondamente radicata nella vita della città. I suoi “quattro autori” moderni – anche qui per ricordare un’espressione vichiana – Vico ed Hegel, Spaventa e Croce, fanno parte della passione filosofica di Napoli e sono il segno di una riconoscibilità non scolastica in grado di trasferire il pensiero nella vita.
Ma quello che di veramente nuovo l’Istituto ha portato nella storia culturale di Napoli – quello che chiamerei il suo specifico contributo a un’idea di cultura – è il principio di una profonda unità che regge la vita della cultura e la vita della storia. Con la sua iniziativa che copre tutti i campi del sapere umano, esso ha superato d’un solo colpo la vecchia diatriba sulle “due culture”, ponendo la questione dell’unità del sapere e quasi della possibilità di una nuova forma di comunità fondata sui valori della filosofia e della scienza. Con quest’ispirazione, l’Istituto ha rappresentato una critica immanente alla separatezza specialistica o, meglio, al principio che ogni formazione unitaria va rigettata in omaggio al mito degli
specialismi. Da molte parti oggi si dà ragione a quest’impostazione e se ne coglie la profonda verità, che riguarda la costituzione stessa della vita della cultura. Poiché la storia della filosofia non è solo storia di personalità, credo che chi si occuperà di “storia della filosofia” nella Napoli del Novecento dovrà ripercorrere l’esperienza dell’Istituto e afferrare in quale misura abbia contribuito a fare della città un ganglio del sistema europeo di circolazione delle idee. Si capirà come abbia operato con originalità e coraggio, in contrasto con quella concezione della “modernità” che ha del tutto dimenticato l’unità costitutiva della vita dello spirito.
È nota la vocazione insieme meridionale ed europea dell’Istituto. Nel Mezzogiorno d’Italia l’Istituto organizza, sempre più numerosi, seminari e incontri (vere e proprie “scuole”) che riuniscono giovani e meno giovani, studenti e cittadini d’ogni ceto sociale. Non dimenticherò, a
Vatolla, una conversazione su Vico nel castello “vichiano” dei Rocca, fra autorità, studenti e perfino contadini, compresi del ricordo di quell’uomo che fu loro ospite ancora sconosciuto, prima che divenisse gloria del mondo.
Ma l’Europa è l’orizzonte che l’Istituto ha scelto per affermare la propria idea di cultura e di filosofia. La filosofia è stata fin dall’inizio una componente essenziale della storia d’Europa, nata platonicamente da quella “meraviglia” che consente di scoprire e conoscere il mondo. Nell’Istituto, e nella persona di
Marotta, questa “meraviglia” sembra rinverdire e voler ritrovare cittadinanza in un mondo ossessionato dal materialismo e dal gretto interesse. Basterebbe questo, per esprimere la riconoscenza della città per coloro che hanno costruito quest’opera che è fra noi, e che a tutti noi compete di preservare viva e vitale.
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