La strada aperta da un avvocato
Sembra quasi impossibile narrare in poche pagine un intero romanzo, ma è proprio un intero romanzo – quasi – quel che si dovrebbe ora narrare.
Noi tutti desideriamo esprimere e partecipare a Gerardo Marotta la nostra profonda gioia in occasione di quest’evento particolare. Ora che una delle più antiche Università d’Europa onora l’avvocato Marotta – per gli amici semplicemente l’ “avvocato” – con un alto riconoscimento accademico, non si possono non ricordare i primi passi del suo prestigioso cammino. Fa parte di questi ricordi il mio primo incontro con Napoli e con il fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Fu come nascere una seconda volta.
Napoli era gravemente provata dalle distruzioni di una guerra insensata; il giovane Gerardo Marotta si era guadagnato i primi onori sul campo contribuendo alla ricostruzione spirituale della sua città con la fondazione dell’associazione Cultura Nuova e con la promozione di numerosi seminari all’Università di Napoli. Tuttavia, molto presto, concepì un altro grande progetto, quello dell’Istituto: un progetto che poteva nascere soltanto nella mente di un uomo determinato da un’indomabile vocazione. Fu questa la sua occasione, e lui l’ha colta. È stata sua ferma intenzione, allora come oggi, rianimare una delle più grandi metropoli della cultura umanistica in Italia e ricongiungerla alla sua grande storia. Napoli, prima ancora che Benedetto Croce vi esercitasse il suo magistero, fin dai tempi degli Spaventa, si distinse per la costante presenza ideale di Hegel. La città natale del giovane Marotta godeva dunque di alto prestigio e considerazione, ovunque in Europa, nei circoli interessati alla filosofia. Allora Marotta riuscì in ciò che sembrava quasi impossibile: dar vita a una nuova fondazione filosofica nel cuore di una città travagliata – una città ricca e insieme povera, ma anche una capitale di cultura e civiltà – e portarla a un successo inaspettato, nonostante le enormi difficoltà da superare. Le condizioni generali non erano davvero favorevoli. Ci voleva coraggio e passione per il rischio, un forte impegno, e un’energia indomabile. Perfino il nostro pianeta sembrò voler contrastare i progetti di
Marotta, allorché un violento terremoto fece quasi naufragare le iniziative già intraprese per la costituzione del nuovo Istituto. Molti erano allora i senzatetto ai quali bisognava provvedere: un compito che richiese diversi anni.
Senza la premura e l’aiuto di amici legati a Napoli e all’“avvocato” e, soprattutto, l’incomparabile energia di Gerardo
Marotta, non sarebbe stato possibile sviluppare così, senza battute di arresto, quel grande progetto. Ricordo ancora il mio primo contributo e la cornice in cui ebbe luogo la mia conferenza; al termine ci fu un gran ricevimento nelle splendide sale di una dimora patrizia.
All’inizio la sobrietà fu di rigore: mancava lo spazio per soddisfare l’interesse crescente che si manifestava per l’Istituto, per i nostri seminari e le conferenze. Poi, d’un tratto, si aprì il grande e maestoso Palazzo Serra di Cassano che ci aveva ospitato in occasione del primo ricevimento. Questa volta si aprì interamente, ed era tutto riservato alle finalità dell’Istituto. Da allora, entrando dall’ingresso posteriore, siamo saliti ogni anno per la sontuosa scala del Palazzo: qui, nelle salette dei seminari e in un salone grandioso, ornato da una magnifica serie di lampadari veneziani, abbiamo suscitato l’interesse per la filosofia nelle schiere sempre più numerose della gioventù napoletana e dei borsisti dell’Istituto, provenienti da tutta l’Europa. Vent’anni dopo, venne un giorno che non dimenticherò mai: l’ingresso di questo meraviglioso Palazzo – chiuso da circa due secoli – fu riaperto dal Sindaco di Napoli durante una cerimonia solenne. Io, al suo braccio, ne varcai la soglia. La magnificenza di quella fuga di scalini, alla quale per tanti anni avevamo preso l’abitudine di accedere passando per il portone secondario, si presentò ai nostri occhi splendida e improvvisa.
Di regola mi trattenevo a Napoli giusto il tempo di una settimana filosofica; ciononostante si sviluppò, con il trascorrere degli anni, un interesse per l’Istituto che superava i limiti delle occasioni d’incontro. Io stesso non ero che uno dei tanti conferenzieri, e nessuno di noi aveva annunciato comodi temi di attualità. Piuttosto tutti avevamo saputo indovinare la segreta esigenza della gioventù napoletana: comprendere, sin dai fondamenti, la sua patria e la sua gloriosa origine. Era interessata all’antica Grecia, alla filosofia classica della Magna Grecia, alle vicissitudini del Sud dell’Italia, così vicino ai grandi teatri della storia mondiale. Qui si susseguirono la colonizzazione greca, le guerre per l’egemonia in Sicilia e contro
Cartagine, qui si ebbe dapprima un graduale processo di crescita, in seno all’Impero Romano, poi si registrò l’irruzione dei Vandali e dei Goti, quindi dei Normanni, di qui transitò la cultura araba, dalla Sicilia al resto dell’Italia. Il Mezzogiorno fu anche la patria di
Parmenide, qui si decise il destino di Platone, e ovunque l’archeologo può rinvenire le tracce e i tesori che testimoniano, in questa terra consacrata, il sorgere dell’arte cristiana e di una cultura musicale universalmente nota a partire da Gregorio Magno. Questa tradizione ha fecondato la cultura umanistica. Nell’era moderna la ripresa di questa grande tradizione, che noi chiamiamo Rinascimento, ha dato alle nuove generazioni l’entusiasmo e l’ardore per lo sviluppo delle facoltà dell’uomo.
Ero del tutto impreparato a svolgere il compito che mi si affidava a Napoli. È con l’Italia settentrionale che la filosofia tedesca aveva stretto rapporti sempre più intensi, e quasi mai Heidelberg aveva avuto rapporti con Napoli. Inoltre, la mia scarsa conoscenza dell’italiano poteva procurarmi qualche imbarazzo. Mi aiutò la dimensione dell’uditorio, quella di un seminario: vidi così confermato il primato del dialogo sulle barriere linguistiche. Cercare di comprendersi l’un l’altro, anche balbettando, non è così difficile come, per esempio, capire alcune traduzioni. Abbiamo fatto un buon lavoro, in forma di dialogo. I nostri studenti hanno dato prova di spirito critico e hanno saputo far tesoro di quanto hanno appreso, riprendendolo negli studi degli anni successivi. Lo scambio intellettuale continuava anche fuori dell’Istituto, nei licei i cui insegnanti, fedeli ai loro sogni giovanili, mantenevano desto l’interesse per la filosofia. Così si è sviluppata, nonostante qualche interruzione, una consuetudine e, anno dopo anno, si è verificato ciò che è proprio dell’insegnamento autentico: non s’impara solo da chi insegna, s’impara soprattutto da coloro che hanno già appreso e che riescono a trasmettere nuove capacità e nuovo sapere.
La situazione nel frattempo si è sviluppata. Il mio italiano si è fatto più comprensibile e la crescente simpatia di un uditorio sempre più ampio mi ha aiutato a superare la difficoltà, davvero enorme, d’instaurare un dialogo filosofico, anche in una sala gremita di ascoltatori. Ma la libertà del dialogo è sempre la stessa: si tratta pur sempre di pensare insieme, indipendentemente dai programmi di studio e dagli esami di profitto, innescando la scintilla che illumini l’una e l’altra mente.
Era nella logica di quest’appassionante romanzo, i cui capitoli sono stati segnati dall’energia spirituale dell’Avvocato, che l’opera crescesse sempre più. Come l’amore dell’Avvocato per la propria patria lo ha portato ad abbracciare anche il resto del mondo, come egli ha chiamato a sé nuovi ospiti e nuovi amici, e ha reso possibili scambi sempre più intensi fra loro, facendo sì che l’Istituto divenisse un crocevia della filosofia internazionale, così questa stessa logica vuole che l’interesse filosofico si estenda al grande dibattito scientifico. In questo modo l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici realizza concretamente l’antico ideale universitario, che comprende tutto ciò che valga la pena di sapere, mettendo in comunicazione i vari comparti disciplinari.
Si potrebbe temere che, da un interesse della filosofia in ambiti così vasti e diversi, possa derivare una dispersione. Ma la creatività degli scambi intellettuali e la fantasia dell’Avvocato, che ha in mente sempre nuovi progetti, ci hanno sempre ricondotto ai problemi di base dell’umanità e dell’umanesimo che, in questa terra veneranda, hanno dato frutti eccellenti nel corso dei secoli. Se il raccolto è ricco, ciò si deve non solo al collegamento fra la filosofia tedesca e quella italiana, ma anche alla fecondità del dialogo filosofico che si propaga in tutte le direzioni. È l’Europa, e l’eredità che tutti ci accomuna, a diffondersi sempre più, anche oltreoceano, lasciando dietro di sé ogni barriera linguistica. Tutto ciò ha oggi, a Parigi, il riscontro di un solenne riconoscimento: l’eredità umanistica porta nuovi frutti sul terreno della cultura europea. Il segreto del vero dialogo consiste da sempre nel sapere che, se l’altro è anzitutto un estraneo e, a nostra volta, noi siamo estranei per l’altro, la diversità (a cominciare da quella linguistica) non è una barriera, ma un ponte.
È bello sapere che il festeggiato, il fondatore di tutta l’opera, partecipa, a suo modo, a quello che egli stesso ha ispirato! Figlio del Mezzogiorno, immaginifico ed energico come la sua lingua madre, l’avvocato Marotta irradia fiducia in un futuro in cui gli uomini, superando i contrasti e le tensioni del mondo, imparino a vivere veramente insieme.
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