Gli errori dell’Europa
Il fatto che l’Europa si trovi in una crisi è luogo comune dagli inizi del nostro secolo. Se si torna però col pensiero al tempo in cui fu concepito, per esempio, Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler e che già ai contemporanei appariva decisamente come epoca di decadenza, ci si domanda come dovrebbe essere considerato, al confronto con quello, il nostro tempo. Infatti quel periodo, pur con il suo smarrimento politico e spirituale, raggiunse risultati, nelle scienze come nelle arti, che a ragione ancor oggi mantengono un valore mondiale. Nel cuore dell’Europa, nei paesi di lingua tedesca, furono attivi matematici come David
Hilbert, fisici come Max Planck, Albert Einstein, Wolfgang Pauli, Werner
Heisenberg, chimici come Otto Hahn, psicologi come Sigmund Freud e Carl Gustav
Jung, sociologi come Max Weber, giuristi come Herman Heller, storici dell’arte come Aby
Warburg, artisti come quelli del Bauhaus, l’architetto Ludwig Mies van der
Rohe, il pittore Paul Klee, musicisti come Arnold Schönberg, scrittori come Franz
Kafka, Robert Musil, Heinrich e Thomas Mann, Bertolt Brecht.
Comparato con quel tempo, che nonostante la sua crisi fu capace di sviluppare la teoria della relatività e quella dei quanti, la dodecafonia e il teatro epico, il nostro è palesemente caratterizzato da letargia e sterilità, da piattezza nelle scienze e nelle arti, da mancanza di fantasia nella politica, il che, fra l’altro, ha per conseguenza una sempre maggiore estensione dell’influenza culturale e politica dell’America su un’Europa intellettualmente addirittura paralizzata. Da questa paralisi l’Europa non potrà riscuotersi se non le riesce di ricollegarsi in modo produttivo alle tradizioni che sono cresciute sul suo terreno; non c’è neanche bisogno di dimostrare che soltanto la conseguente prosecuzione dello spirito greco-cristiano – e non l’affidarsi all’irrazionalismo, il cui risultato può essere solo la dissoluzione e la decadenza – può risolvere i problemi in cui si è invischiato il mondo moderno.
Bisogna però purtroppo temere che questo sviluppo fecondo della tradizione non possa aver luogo all’interno della moderna università di massa, quale si è costituita in pressoché tutti i paesi europei. Essa è troppo spesso dominata dalla concezione cinica e insieme autodistruttiva che, almeno per la ragione, non ci sia una verità, che le norme siano di necessità storiche e che pertanto gli intellettuali non abbiano alcuna responsabilità verso la vita pubblica: una concezione che è radice di ogni errore e di ogni male e dalla quale può conseguire solo l’annientamento di ogni scienza, la dissoluzione di tutti i valori e la bancarotta sia intellettuale che politica della civiltà europea.
Nel quadro di questa situazione, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici con la sua Scuola di Studi Superiori in Napoli ha un compito addirittura storico (non si possono usare termini più adeguati). Sostenuto dalla convinzione che solo una sorta di Università europea di élite, con la più alta dimensione intellettuale e politico-morale, può trovare una via d’uscita dalla crisi, l’Istituto ha dispiegato un’attività che lascia senza parole coloro che ne sono testimoni.
Fondato dall’avvocato Gerardo Marotta, un promotore di cultura che unisce la formazione e l’universalità di un Aby Warburg con la forza trascinante di un principe del Rinascimento, l’istituto dalla sua fondazione ad oggi ha organizzato innumerevoli conferenze, seminari, congressi, con noti studiosi, a Napoli, ma anche a Torino, Parigi, Londra, Poitiers,
Tubinga, Monaco, Wolfenbüttel, Barcellona, ed ha reso possibile l’incontro fra numerosi giovani ricercatori e grandi maestri; esso ha inoltre realizzato un importante programma editoriale, che va dalla raccolta dei frammenti della Scuola di Platone a un’edizione critica delle lezioni di Hegel. Straordinaria impressione suscita l’ampiezza enciclopedica dei programmi dell’Istituto; nelle diverse iniziative sono stati considerati non soltanto tutti gli aspetti sistematici della filosofia e tutte le epoche della storia della filosofia (tra l’altro anche di quella extraeuropea: si ricordi il convegno su Buddismo e Vedanta del giugno 1983); l’Istituto ha anche invitato importanti rappresentanti delle discipline scientifiche a tenere conferenze e seminari: da Musatti a Bergmann a
Weehler, da Segrè a Prigogine.
Questo programma d’altissimo livello qualitativo e quantitativo, che si prefigge come scopo un avvicinamento delle scienze moderne e della filosofia, della teoria e della prassi, e una sistematica ricognizione filosofica della realtà del XX secolo sulla base dell’idealismo oggettivo, questo immane programma – incredibile a dirsi – è stato abbozzato e avviato a realizzazione a ritmo così accelerato da un piccolo gruppo di persone che si sentono solidali: l’avvocato Gerardo
Marotta, che lo ha concepito, e il suo collaboratore Antonio Gargano, come pure Giuseppe Orsi, che rappresenta le istanze dell’Istituto in Germania. L’alto idealismo che anima queste persone fa sì che quest’Istituto col suo piccolo gruppo di collaboratori, metta in campo una produttività di gran lunga maggiore di numerose istituzioni burocraticamente gonfiate e dirette svogliatamente.
Ci auguriamo che tale organismo possa in futuro avere la stessa efficacia che ha oggi, e soddisfare le grandi speranze che, a ragione, ripone in esso un non piccolo gruppo di intellettuali europei che ha imparato a considerarlo sempre più come l’istituzione che sarà in grado di guidare il rinnovamento spirituale di cui l’Europa ha assolutamente bisogno, se vuol sopravvivere dal punto di vista intellettuale e politico.
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