Un aiuto per i giovani ricercatori
Sono davvero lieto di poter recare un contributo che sarà soprattutto testimonianza di un’esperienza personale, cui aggiungerò qualche considerazione sul senso del mio (ma non soltanto mio) incontro con l’Istituto.
Dal momento che non mi sembra di essere il più anziano tra i presenti forse posso dire qualcosa su di un tema che mi sta particolarmente a cuore e che considero un elemento centrale nell’attività dell’Istituto: l’aiuto ai giovani ricercatori. Cercherò di illustrare gli aspetti principali di questo punto cruciale, descrivendo brevemente le forme che tale sostegno ha assunto per me e per molti dei miei colleghi e amici.
Per qualche strano motivo, senza dubbio legato al fatto che l’Italia è, secondo la definizione di Emmanuel
Anati, il paese di papacucù, c’è un periodo, compreso all’incirca tra i 25 e i 35 anni, in cui i ricercatori italiani sono chiamati, in buona sostanza, ad arrangiarsi. Ora, è in questo periodo particolarmente inquieto che tutta una generazione di giovani studiosi (ma probabilmente più d’una) ha potuto beneficiare della presenza dell’Istituto – una presenza che nel mio caso ha svolto un ruolo essenziale, ma che è stata decisiva per la mia generazione.
Tanto per cominciare, occorre dire che quest’aiuto ha preso forme molto concrete. Penso, ad esempio, alle borse che permettono di partecipare ai seminari, alle riunioni e ai convegni scientifici promossi dall’Istituto in Italia e all’estero – a cominciare dai seminari permanenti di Palazzo Serra di Cassano e dalla rete delle numerosissime “scuole estive” che si svolgono nelle diverse località del sud, ma anche del centro e del nord d’Italia. È la possibilità di prendere parte a questi convegni che ha consentito a tanti di noi di preservare un aspetto essenziale della vita del ricercatore: la possibilità di avvicinare i grandi maestri, italiani e non, della ricerca filosofica, regolarmente di passaggio a Napoli ove è stato possibile incontrarli e discutere con essi. È un aspetto essenziale non solo perché ci ha consentito di confrontare la nostra formazione e metterla alla prova di studiosi di levatura internazionale e di matrici teoriche e culturali diverse, ma anche perché, e penso in particolare alle scuole estive, genera dimestichezze ed amicizie spesso durature, sia con gli studiosi invitati
(Alain De Libera lo ricordava poc’anzi) che con i colleghi e coetanei. Il contatto personale è essenziale: esso determina la cordialità del rapporto con gli studenti, il dialogo libero e informale, il continuo e fecondo scambio di idee; aggiungete le frequenti riunioni serali, l’intensità dei rapporti intellettuali e umani e l’ambiente conviviale in cui tutto ciò si svolge e capirete immediatamente il ruolo straordinario che hanno avuto questi incontri per allargare l’orizzonte professionale, scientifico e mentale di noi giovani ricercatori (per me, questo si è concretato anzitutto in un incontro ed una complicità duratura con Imre
Toth, come con altri colleghi e amici). Non credo di esagerare se dico che queste occasioni costituiscono palestre scientifiche paragonabili per intensità di scambio e concentrazione ai migliori seminari di studio americani. Per coloro che in seguito hanno potuto soggiornare presso altre scuole e centri di ricerca, in Italia e fuori, queste esperienze e quei contatti si sono spesso rivelati preziosi.
Abbiamo sentito parlare a più riprese, oggi, del ruolo complementare dell’Istituto rispetto all’università. A me sembra che esso svolga una vera e propria funzione vicaria, e che abbia permesso a tutta una generazione di giovani ricercatori di muovere i primi passi nel mondo della ricerca. Ricordo sempre come, durante i miei studi universitari a Milano, in cinque anni abbiamo avuto il privilegio di incontrare tre studiosi provenienti dall’estero! La situazione è oggi senza dubbio diversa – ma forse meno di quanto si creda. Da questo punto di vista l’Istituto, oltre ad essere un luogo ove stringere rapporti scientifici e professionali duraturi, funziona come una scuola di specializzazione informale.
Un secondo elemento dell’azione dell’Istituto riguarda la possibilità di pubblicare. Anche questo è un punto essenziale. Non conosco quasi nessun collega di età compresa tra i 25 e i 35 anni che non abbia beneficiato, direttamente o indirettamente, dell’opera dell’Istituto in quest’ambito. Nel mio caso, ciò ha anzitutto preso la forma di una collaborazione durevole a quella rivista di informazione scientifica che è stata Informazione filosofica, nata grazie all’iniziativa di Riccardo Ruschi e all’impegno concreto e ininterrotto dell’Istituto. Ad Informazione filosofica, che ci consentiva di pubblicare regolarmente recensioni, articoli, interviste e resoconti, dovevamo anche la possibilità di partecipare a quei convegni dei quali poi si doveva dare notizia; e non credo di sbagliarmi se dico che parecchi colleghi hanno cominciato a pubblicare e a frequentare i primi convegni scientifici grazie all’esistenza di questa rivista e dell’Istituto che la pubblicava.
Si aggiunga a ciò la rete editoriale dell’Istituto, articolata anzitutto intorno ad alcune case editrici napoletane (penso a
Vivarium, La Città del Sole, Bibliopolis, etc.) sempre disponibili a pubblicare lavori patrocinati o incoraggiati dall’Istituto. Ma l’attività editoriale dell’Istituto, della quale Nicolas Tertulian ci ha appena dato un’idea per quanto riguarda gli studi hegeliani, non si limita ad esse. Numerose collane di filosofia, e di studi scientifici in generale, sono state avviate presso editori italiani ed esteri grazie al sostegno dell’Istituto. Abbiamo sentito oggi richiamare uno dei fiori all’occhiello di quest’attività, la collana bruniana delle Belles
Lettres, ma non dimentichiamo il gran numero di pubblicazioni e collane cui non di rado si appoggia il lavoro di dipartimenti, istituti e centri di ricerca italiani.
L’attività dell’Istituto in questo campo assume anche un’altra forma, vale a dire il sostegno puntuale a lavori specialistici, spesso dedicati a tematiche ancora poco presenti nell’ambito degli insegnamenti accademici e che non potrebbero vedere la luce se si facesse affidamento sulle sole forze delle case editrici interessate. Si moltiplicano, così, le opere scientifiche – di filosofia e di storia, di letteratura e di economia, di matematica e di fisica – pubblicate “col contributo dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”, come si evince anche da quest’impressionante sintesi delle pubblicazioni dell’Istituto che viene presentata oggi: anche qui, un impegno che in parte sopperisce al vuoto prodotto in Italia dall’assenza di organismi di supporto all’editoria scientifica.
Un effetto diretto dell’impegno filosofico dell’Istituto consiste nel poter intraprendere ricerche lungo direttrici eccentriche rispetto a quelle normalmente praticate nei centri accademici. Questa peculiarità mi consente di descrivere rapidamente, a conclusione di questo breve resoconto di un’esperienza personale, il lavoro che da qualche anno stiamo svolgendo con Jean Petitot ed altri amici, tra i quali Paolo Parrini e Ornella
Faracovi, nel campo della “filosofia scientifica” e del “razionalismo critico” italiano. Dal 1996 infatti, una serie di incontri periodici dedicati a queste correnti teoriche si sono potuti svolgere essenzialmente grazie all’azione congiunta della Maison des Sciences de l’Homme e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. I risultati di questi convegni sono stati raccolti in un primo volume, Science et philosophie en France et en
Italie, apparso presso Vivarium nel 2001, mentre un secondo volume è in preparazione e vedrà la luce nel 2003. Sempre in quest’ambito, non si può dimenticare l’importanza della recente edizione francese degli Écrits philosophiques di Giulio Preti, pubblicati nel 2002 presso le Éditions du Cerf grazie all’iniziativa di Heinz Wismann e di Jean Petitot e con il contributo decisivo dell’Istituto. Qualcuno sottolineava, poco fa, il carattere ecumenico dell’Istituto: il caso di Giulio Preti, oggi riconosciuto come uno dei grandi pensatori italiani del Novecento, ne costituisce un esempio significativo. Il rinnovato interesse per l’opera di Preti, testimoniato tra l’altro dal recente convegno commemorativo che si è svolto a
Castiglioncello, deve molto al contributo dell’Istituto, il cui legame con la figura di Preti passa attraverso le mediazioni di Mario Dal Pra e Ludovico Geymonat – ma senza che questo collegamento avesse in precedenza dato luogo ad un preciso indirizzo di ricerca. Nel nostro caso, quando con Petitot e Maurice Aymard abbiamo avanzato la proposta di lavorare sull’opera di Preti, l’Istituto ha immediatamente accettato di associarsi a questi studi, sebbene essi non si collocassero perfettamente entro le sue linee di ricerca tradizionali. Lo stesso vale per un altro esponente della filosofia scientifica, Federigo
Enriques, il cui Centro Studi, creato a Livorno da Ornella Faracovi, collabora assiduamente con l’Istituto. Il fatto è che, anche se l’attività principale dell’Istituto si sviluppa lungo direttrici molteplici e talvolta in apparente contrasto, il suo fondamentale ispirarsi alla tradizione illuministica, in particolare napoletana, fa sì che tutti coloro che si riconoscono in questa tradizione intellettuale e morale si trovino naturalmente al suo fianco.
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