Per l’“idea” dell’università europea
L’8 novembre 1988 l’Erasmus Universiteit Rotterdam (EUR) ha conferito all’avvocato Gerardo Marotta la laurea honoris causa in filosofia. Con la laurea, l’Università di Rotterdam ha voluto onorare il fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è fin dall’inizio il Presidente instancabile. Ha voluto onorare allo stesso tempo il ruolo che l’Istituto di Napoli svolge nella difficile opera di ricomposizione dei rapporti tra scienze umane e scienze naturali, e di promozione internazionale degli studi, in una città e in una regione d’Italia travagliate da immense difficoltà. È però innanzitutto un onore per l’Università che l’avvocato Marotta abbia acconsentito ad accettare la laurea.
Dire che l’avvocato Marotta è un mecenate della filosofia e, in genere, della cultura, sarebbe un errore. Il mecenate dà generosamente il suo denaro e poi fa qualche altra cosa, pressoché dimenticando quello che ha fatto; talvolta è tronfio della sua generosità. In questo senso, l’avvocato non è un mecenate. Egli ha dato alla sua creazione, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, non soltanto una parte sostanziale dei suoi mezzi, ma ha dato – ed è più importante – se stesso. Si è impegnato in modo esemplare: l’Istituto è uno degli scopi importanti della sua vita, forse quello principale.
Quest’impegno è la conseguenza di un’autentica passione per le arti, le scienze umane e naturali, la filosofia, e di una visione di un’altra cultura e di un’altra Europa. Gerardo Marotta è il difensore infaticabile e appassionato dell’alta cultura, che sta perdendosi nella meschinità della vita moderna e postmoderna, nel materialismo, nel mercantilismo, nel divertimento deplorevole proposto dalle televisioni. Egli vede la degenerazione dell’alta cultura e la perdita della memoria storica: sente l’ansia di verità e d’umanità e si oppone risolutamente a tutto quello che costituisce la barbarie moderna. «Piuttosto che le rispettive virtù, ciascuna civiltà scambia con le altre i difetti, gli aspetti deteriori», dice mestamente l’Appello per la filosofia, diffuso dall’Istituto in tutto il mondo. Si può lamentare questo sviluppo del mondo moderno, chiamato talvolta progresso, ma l’Avvocato non si lamenta, il suo atteggiamento è piuttosto la combattività, la tenacia e un’impazienza difficile da frenare. Si può sostenere che questa è una lotta impari, troppo impari, e non c’è che rassegnarsi. Gerardo Marotta ha scelto l’atteggiamento opposto: continuare la lotta, quantunque impari, e persistere. È un atto di fede e di speranza.
L’Avvocato è un uomo che s’indigna. Il suo indignarsi è il rovescio dell’amore ardente per l’umanità e per le virtù, anche nel senso rinascimentale. Ricordo la sua conferenza tenuta, il giorno dopo il conferimento della laurea, ai professori e agli studenti della Erasmus
Universiteit. Al centro del discorso era la conquista europea delle Indie. Ricordo gli occhi di fuoco, la voce forte. La conquista era per il relatore un momento di sconfitta dell’umanesimo europeo e di prevalenza di un insaziabile spirito mercantile trasformatosi in spirito di rapina: spirito che ancora oggi fa sentire il suo gravissimo peso nell’asservire l’Europa a interessi materiali in dispregio di quegli alti valori di civiltà e di cultura, che essa seppe in molti suoi momenti, dall’umanesimo civile al grande movimento storicistico e romantico dell’Ottocento, elaborare, esprimere e proporre al mondo. La sua indignazione era sincera, eloquente, trascinante; il discorso, che rammentava la Brevissima relación de la destruyción de las Indias di Bartolomé de las
Casas, indimenticabile. La denuncia delle atrocità perpetrate nel Nuovo Mondo durante la conquista era allo stesso tempo una denuncia dello spirito che domina l’epoca moderna dopo la “fine della storia” proclamata da
Fukuyama. «Vi è necessità della filosofia», ecco le ultime parole dell’Appello per la filosofia, ecco anche la conclusione del discorso del 9 novembre 1988.
Un uomo forte, risoluto, combattivo; ecco il ritratto, certamente incompleto, del fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del laureato dell’Università di Rotterdam. Ritratto incompleto, ho scritto, perché paradossalmente l’Avvocato è allo stesso tempo un uomo mite, gentile e fragile, e per tutto questo sommamente amabile. Devo certamente anche ricordare il suo amore per Napoli, città per la quale, come mi ha detto un giorno, tutti i secoli sono stati d’oro.
Ma non continuiamo a fare elogi della persona eccezionale dell’avvocato
Marotta. Sarebbe contrario alla sua modestia. Quel che è importante – egli direbbe – non sono io, è l’Istituto che ho fondato. L’argomento dell’elogio sarà dunque d’ora in poi l’Istituto, che si chiama modestamente Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e che invece ha un’irradiazione europea.
Ci si può chiedere perché abbiamo bisogno di un Istituto come quello di Napoli. La difesa, lo sviluppo e la promozione delle scienze, umane e naturali, della filosofia e dell’alta cultura sono tradizionalmente, fin dall’inizio nel secolo
XI, il compito delle università. A prima vista sostenere e rafforzare l’università è più ragionevole che fondare un Istituto fuori dell’università. Ma l’università del Novecento non è più l’università classica di Humboldt o
Newman, l’università è cambiata. L’università di oggi, che io preferisco chiamare la “multiversità”, è un insieme di scuole – di fisica, chimica, medicina, ingegneria, management science ecc. – sotto un tetto comune che si chiama università. Di fatto, l’università è diventata: 1. una burocrazia, 2. un numero di scuole, 3. il fornitore di un “prodotto utile”: il fisico, il medico ecc. È inoltre costretta a fornire il suo prodotto in poco tempo e a rispettare le esigenze del mercato. Lo spirito dell’utilitarismo e del mercantilismo domina l’università, le considerazioni “pratiche” sono sempre più decisive. Se nell’università trova ancora posto – per quanto tempo? – la “inutile” filosofia, questa non costituisce il legame tra le scienze, ma una scuola accanto alle altre, nelle quali il riferimento alla vera filosofia è sempre incidentale. Il “prodotto” di quest’università – il fisico, il medico, il filosofo – solo in casi eccezionali riflette quella cultura e quella consapevolezza dei valori da rispettare, che erano una volta la caratteristica di una formazione accademica. Passo sotto silenzio la “licealizzazione” dell’istituzione che continua a chiamarsi università.
Ecco il ritratto desolante dell’università nei Paesi Bassi, forse anche in Italia. È probabilmente un po’ esagerato, ma senza esagerare si può dire che c’è una crisi dell’università. La crisi è dovuta anche al fatto che la maggioranza dei professori, eccellenti senza dubbio, non vede, non si rende conto della crisi dell’università, perché l’idea stessa dell’università è morta. Di conseguenza il “prodotto” dell’università è una generazione che sa il prezzo di tutto e il valore di nulla.
Se questa è la situazione in cui ci troviamo, vi è necessità di un complemento e forse di un contrappeso, cioè di istituti che s’impegnino per la cultura, per la filosofia, per i grandi valori della civiltà europea, insomma per quella che era l’idea dell’università. Ecco la ragione dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, che Benedetto Croce ha fondato nel 1947, e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che Gerardo
Marotta, seguendo l’esempio del suo maestro, ha fondato nel 1975. Qui vorrei rapportarmi a quello che Croce ha scritto nel 1927, venti anni prima della fondazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915. L’oggetto della descrizione di Croce non è l’università della nostra epoca, ma l’università della fine dell’Ottocento, che a noi, da lontano, sembra ancora essere un idillio. Se c’era già verso la fine dell’Ottocento una crisi dell’università, la crisi si è da quel tempo aggravata. Scrive Croce:
«L’università è di sua natura tradizionalistica e conservatrice, adatta a trasmettere notizie e metodi e costumi, e a preparare professionisti e pratici. Non può dunque aspettarsi da essa né il nuovo pensiero, che è opera della personalità geniale, anche quando, come la lingua italiana acutamente dice, “faccia” (e non già “sia”) l’insegnante e il professore; e neppure la manifestazione dei bisogni e degli stimoli al nuovo pensiero, che vengono non dalla sua chiusa cerchia, ma dall’intera vita sociale, e spesso dai punti più lontani e ripugnanti a quella cerchia. La “scuola”, che fosse insieme “vita”, quale se ne ebbe saggio a Napoli poco prima del ’48, era scuola libera».
E poi:
«L’università italiana era allora più divisa dalla vita di quel che porti l’indole dell’istituto: più divisa in ragione appunto della dottrina che trasmetteva, e che non era la tradizione di quella speculativa e idealistica, ma la dottrina
positivistica, astratta nella sua apparente concretezza, che arrivava fino all’intelletto calcolante e classificante, ma non penetrava nel centro, assai più riposto, dello spirito umano».
Anche questo sembra avere una certa attualità.
Nelle parole di Croce si trova la motivazione della fondazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e di una “scuola libera”. In una situazione di crisi ci sono due possibilità. Si può tentare di riformare l’università “entro le mura” per così dire. Io l’ho tentato negli anni del mio rettorato dell’Università di Rotterdam e ho fallito. Si può anche lasciare da parte l’istituzione e cercare di realizzare “fuori le mura” l’idea che si chiama idea dell’università. Gerardo Marotta l’ha fatto risolutamente e con un successo notevole.
All’inizio, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici non costituiva ancora la scuola libera, che abbiamo trovato nelle parole di Croce. La Scuola di Studi Superiori in Napoli, qualcosa di analogo alle graduate schools delle università americane, dell’Institute of Advanced Study dell’Università di Princeton per esempio – ma con la differenza che la scuola di Napoli è un vero Studium Generale – fu fondata dall’Istituto nell’anno 1980, cinque anni dopo la sua nascita. Nei primi cinque anni della sua esistenza l’Istituto ha dovuto orientarsi e cercare di definire il suo scopo. La Scuola, strettamente legata all’Istituto, viene menzionata per la prima volta negli “Annali della Pubblica Istruzione”, 1980, n. 3, in un articolo di Aldo Lo Schiavo, il quale la colloca «nella tradizione dell’illuminismo e dello storicismo napoletani». Mi sembra essere corretto, ma se all’inizio lo scopo è stato di continuare questa tradizione, la Scuola non è stata angustamente fedele alla sua origine. Nei programmi si trovano pochi riferimenti all’illuminismo e allo storicismo specificamente napoletani. C’è forse una certa preferenza per Hegel e per il (neo-)hegelismo, ma i programmi mostrano che, anche relativamente alla programmazione, la Scuola di Studi Superiori in Napoli è scuola libera.
Consideriamo un po’ più da vicino i programmi dell’Istituto per l’anno accademico 1996-1997. Consistono di seminari di quattro, cinque giorni, talvolta di più di una settimana, per studenti già laureati, dunque per dottori giovani, e danno un orientamento approfondito nella situazione attuale della filosofia, della storia moderna e contemporanea, della storia dell’arte, dell’economia.
Nei programmi per l’anno accademico 1996-1997 si trovano, per esempio, una serie di seminari sulle idee del Novecento, un seminario sulla crisi dei fondamenti nella cultura contemporanea, un altro sulla filosofia “civile” e la filosofia pratica nell’Italia contemporanea; c’è un seminario sul relativismo contemporaneo e il problema del fondamento ultimo, uno su Aristotele nella filosofia analitica contemporanea ecc.
Accanto ai seminari sulla situazione attuale della filosofia si trovano seminari sulla storia del pensiero: “Epicureismo e Aristotelismo”; “Il Cratilo di Platone nel suo contesto matematico”; “L’idea di Medioevo”; “La tradizione ermetica nel Medioevo Latino”; “Il pensiero e l’immaginario scientifico nel ’600”; “Questioni galileiane”; “Il pensiero politico di Spinoza”; “Leggi fisiche e leggi morali nel Settecento francese
(Montesquieu, Diderot, Rousseau)”; “Il pensiero politico di Jean-Jacques Rousseau”; “Filosofia e religione nell’età dell’Aufklärung”; “Problemi di filosofia della natura nel primo idealismo tedesco”; “Il caso della meccanica celeste”; seminari sulla Fenomenologia dello spirito e la Filosofia del diritto di Hegel; “Franz Hemsterhuis e il pensiero europeo”; “Ripensare la fenomenologia di Edmund Husserl”; “Introduzione alla storia del pensiero dell’Asia Orientale (Taoismo, Confucianesimo, Buddismo)” ecc. Ecco un menu prestigioso e attraente, un vero Studium Generale.
Mi sono limitato ad una scelta dai più di sessanta seminari di filosofia. Inoltre sono programmati seminari di storia, storia dell’arte ed economia. Con più di cento seminari in un anno, l’Istituto dà un contributo importantissimo alla cultura scientifica e artistica di Napoli, dell’Italia, dell’Europa. Il Palazzo Serra di Cassano è veramente uno dei centri importanti di ricerca e di educazione (e sia chiaro che “educazione” è più di “insegnamento”). Fortunata è la città in cui si trova questo gioiello, che contribuisce tanto al suo prestigio secolare. Fortunata è anche la regione, che dovrebbe vantarsi di come l’Istituto e la sua Scuola hanno contribuito e continuano a contribuire alla cultura europea.
Vorrei inoltre menzionare le Scuole di Alta formazione nel Mezzogiorno d’Italia, le giornate di studio su tutte le scienze, non soltanto a Napoli, ma in tutta Europa, le mostre e un gran numero di convegni prestigiosi, ma devo limitarmi a finire con un commento sulle attività editoriali dell’Istituto. Scrivendo queste righe ho sfogliato ancora una volta, con ammirazione e con grande rispetto, il catalogo pubblicato nell’anno 1995, Venti anni di ricerca e di formazione umanistica e scientifica, 1975-1995. Fin dall’inizio, nell’anno 1975, l’attività editoriale dell’Istituto è stata imponente. Faccio una scelta, certamente arbitraria. Nel volume sono indicati: gli atti di un gran numero di convegni; i cataloghi di mostre bibliografiche, documentarie e iconografiche e di progetti architettonici; i periodici (innanzitutto “Nouvelles de la République des Lettres”, che rammenta il grande cittadino di Rotterdam, Pierre
Bayle, ma anche “Filosofia”, “Informazione filosofica” ecc.); le Lezioni della Scuola di Studi Superiori dì Napoli. Sono indicati inoltre l’edizione critica delle Opere di Giordano Bruno e dell’Opera omnia di Tommaso Campanella; le ristampe anastatiche di classici dell’illuminismo italiano; l’edizione delle lezioni di Hegel sulla Religionsphilosophie dell’anno 1821 e sulla Naturphilosophie dell’anno 1819-1820, in tedesco; la collezione di testi ercolanesi La Scuola di
Epicuro; la collezione di testi La Scuola di Platone; il Corpus Reformatorum
italicorum; testi e studi sulla filosofia classica tedesca; la collana di ricerche sulla storia della medicina nell’età medievale e rinascimentale, Hippocratica Civitas ecc. Infine vorrei menzionare l’edizione di Materiali per la scuola, che contiene libri del professore Antonio Gargano, Introduzione alla filosofia greca e L’idealismo tedesco (e dove il professor Gargano, segretario generale dell’Istituto, tanto impegnato nel lavoro quotidiano di organizzazione dell’Istituto, abbia trovato il tempo per scrivere questi libri è un enigma).
Rileggendo quello che ho scritto, sono sempre più impressionato per le attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e del suo fondatore ed energico presidente. In venti anni l’Istituto è diventato un centro incomparabile della cultura filosofica, scientifica, artistica. Nella motivazione del conferimento della laurea honoris causa all’avvocato Gerardo Marotta ho detto: «The Institute is
there, the School is there, and in the future they are going to be what they have already been for some time
now: a centre of reflection and imagination for Europe». Vorrei però concludere il mio scritto non con quello che ho detto nell’anno 1988, ma, più convenientemente, con quello che il Presidente della Repubblica Italiana dieci anni fa ha scritto nell’occasione del primo decennale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: «Gli enormi ostacoli superati, il grande lavoro svolto, l’autentico entusiasmo ovunque suscitato rappresentano un successo indiscutibile per la rinascita degli studi filosofici nel nostro Paese e, più in generale, per l’arricchimento e la sprovincializzazione della nostra cultura».
Io non posso dire che l’Italia è il “nostro Paese”. Fortunatamente posso dire, però, che la cultura filosofica, scientifica e artistica, alla quale l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha contribuito tanto, è “la nostra cultura”. Ed è così che Napoli torna a far scuola nell’Europa e nel mondo.
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