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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

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Michael Theunissen
Freie Universität, Berlino

L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, incarnazione di Neapolis

Ciò che i tedeschi, persino i filosofi tedeschi, sanno della filosofia italiana e ciò che gl’italiani sanno della filosofia tedesca è ripartito in modo pochissimo equilibrato. Conosco molti italiani che hanno una grande familiarità con la tradizione filosofica tedesca. Mi sono sempre meravigliato del fatto che gl’italiani che studiano qui a Heidelberg, conoscano così egregiamente persino pensatori minori di cui oggi in Germania non si parla quasi più, e li ho ammirati per questo. Da parte loro i tedeschi – ciò vale anche per i filosofi tedeschi – hanno soltanto una conoscenza lacunosa della filosofia italiana. Esiste perciò un notevole divario fra la nostra limitata dimestichezza con la filosofia italiana e la grande familiarità che abbiamo invece con l’arte italiana, con le arti figurative e con la musica.
L’avvocato Marotta ha già accennato al fatto che non è sempre stato così, e ha anche ricordato la rivista “Der Gedanke”, edita qui a Berlino, che pubblicava le lettere sulla filosofia italiana che Theodor Sträter inviava da Napoli al direttore della rivista, il filosofo berlinese Carl Ludwig Michelet. Quelle lettere, ristampate oggi dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, suscitarono allora grande interesse.
Sicuramente gl’influssi della filosofia tedesca sull’Italia furono molto forti, e ciò vale particolarmente per il periodo successivo a Hegel. Augusto Vera e i fratelli Silvio e Bertrando Spaventa, nonché Francesco De Sanctis, nel XIX secolo furono attivi hegeliani, come lo sono stati nel nostro secolo Giovanni Gentile, con il suo idealismo attualistico, e Benedetto Croce, che pure non può essere definito un hegeliano, visto che ha una propria dimensione, avendo dato all’idealismo uno sviluppo nuovo e originale. È degno di nota il fatto che in Italia si è presto creata la stessa situazione della Germania, quando l’hegelismo, la scuola di Hegel, si divise in un hegelismo ortodosso e uno critico. Anche in Italia abbiamo qualcosa di simile a una sinistra e a una destra hegeliana.
Ma non sono da sottovalutare neppure gl’influssi della filosofia italiana sullo sviluppo tedesco. Non è necessario che io parli qui del Rinascimento, basti pensare a Giordano Bruno. Egli fu influenzato da pensatori tedeschi come Nicola Cusano e Paracelso, ma il suo influsso sui tedeschi fu anche maggiore. Senza di lui non sarebbero pensabili Leibniz, Herder, Goethe o Schelling. E per quanto riguarda il XVII e il XVIII secolo, sarà sufficiente ricordare il solo nome di Giambattista Vico, che ha influenzato anch’egli Herder e Goethe, e poi la teoria delle scienze dello spirito, per esempio Dilthey e lo storicismo. Vico ha influenzato l’intera filosofia europea della storia.
Si ha qui una reciprocità che poggia su una peculiare affinità di pensiero e che perciò, per quanto ne so, è anche difficilmente paragonabile ad analoghi processi di scambio avvenuti fra la Germania e altri paesi. Vorrei menzionare soltanto un motivo di questa affinità, vale a dire il grande interesse per la storia presente in entrambi i paesi. Nella sua lezione inaugurale all’Università di Bologna, Bertrando Spaventa afferma che non è importante elaborare teorie, ma soltanto lasciar parlare la storia. Croce ha persino osato affermare che storia e filosofia sono in definitiva identiche, e ciò non lo afferma soltanto in questo semplice modo, ma anche nel senso che la metafisica dello spirito, enunciata da Hegel nei suoi volumi sull’estetica, sulla logica ecc., raggiunge il proprio apice nella filosofia della storia, sia come metodologia delle scienze storiche, sia come metafisica dei fatti storici.
Per ciò che riguarda l’Italia, a quest’orientamento storico si unisce il forte interesse per la riflessione sullo Stato. A partire dalla Città del Sole di Tommaso Campanella, la riflessione sulla filosofia dello Stato diviene centrale in Italia. A questo punto, alla categoria della “storia” appartiene anche l’interesse filosofico comune ai due paesi per la propria storia, per la storia della filosofia. Il presidente Marotta ha già parlato dell’orizzonte europeo di questo pensiero e io vorrei fortemente sottolineare quest’aspetto, perché l’attualità del pensiero italiano sta forse proprio in questo. Che la filosofia italiana sia tanto vicina alla storia lo dimostra anche il fatto che questa filosofia ha preparato, accompagnato e riflesso la fondazione dello Stato nel secolo scorso, e che dunque essa è sempre stata orientata al problema del che cosa costituisce una nazione e del come si costituisce l’identità nazionale. Ma nel XIX secolo a queste riflessioni non si mescolava alcun tono nazionalistico o particolaristico. L’idea fondamentale era che una nazione esiste soltanto se fa attenzione alle altre nazioni, e se vive accanto e insieme a loro. Verso la fine della sua vita Bertrando Spaventa affermò che l’oggetto della sua nostalgia era stato per tutta la vita l’Italia, ma come «nazione libera e dotata di pari diritti nella comunità di tutte le nazioni». «Tutte le nazioni»: ciò significa per il filosofo italiano prima di tutto le nazioni europee. Credo che in nessun altro paese la necessità di creare l’unità d’Europa dopo la fine del medioevo sia entrata nell’orizzonte filosofico prima che in Italia; credo di conseguenza che il Rinascimento italiano abbia per primo condotto sulla via di un’Europa spiritualmente libera.
I filosofi italiani, anche questo li caratterizza, non hanno soltanto pensato, ma anche vissuto e operato come europei. Augusto Vera scrisse principalmente di filosofia tedesca, ma in inglese e soprattutto in francese, e Croce recensì sulla sua rivista “La Critica” le pubblicazioni storiche, filosofiche e letterarie di tutti i paesi europei. Come è emerso chiaramente dal discorso dell’avvocato Marotta, l’apertura all’intera Europa è forse l’aspetto più caratteristico del pensiero italiano e ne costituisce certamente il fondamento.
Dopo queste ampie, ma spero non prolisse considerazioni, permettetemi di aggiungere ancora qualche parola sul punto più decisivo cui accenna il titolo della mostra “Neapolis”. Napoli costituisce da secoli, al più tardi da Vico in poi, il centro della filosofia italiana. Anche nel nostro tempo, Napoli è insieme a Torino il centro filosofico più significativo d’Italia. Scriveva Theodor Sträter, più volte ricordato, in una lettera a Michelet, che la filosofia è a Napoli il fattore più importante della vita spirituale e non è un caso che un filosofo napoletano, Bertrando Spaventa, scrivesse: «La filosofia di un popolo non è un’occupazione infruttuosa e astratta di pochi individui, ma la più compiuta espressione della potenza interiore del genio nazionale». I filosofi tedeschi di oggi possono soltanto sognarsi una tale situazione. Per la Germania attuale vale l’affermazione di Hegel, secondo cui è strano che un popolo perda la sua metafisica mentre il pensiero che si occupa della sua essenza pura non ha più alcuna esistenza concreta nel popolo.
Il centro nel centro di Napoli è l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Nel nostro paese non abbiamo nulla che si possa paragonare, anche soltanto approssimativamente, a questa incarnazione di “Neapolis”. È superfluo ch’io vi parli estesamente delle attività e della produttività di quest’Istituto, su cui v’informa la mostra. Voglio soltanto ricordare – poiché non vi si è ancora accennato – che l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici si è guadagnato grossi titoli di merito nella conservazione dell’eredità antica e nei confronti della filosofia tedesca. Credo di non esagerare affermando che la principale voce attiva nel bilancio estero della filosofia tedesca è proprio l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Esso è stato ed è attivamente impegnato nella pubblicazione delle opere dei filosofi tedeschi e ha invitato molti di quelli ancora viventi ai suoi seminari: penso soltanto ad Apel, Gadamer, Habermas, Pöggeler. Gadamer è addirittura un amico intimo dell’Istituto, che ha dedicato alle correnti di pensiero del nostro paese importanti convegni, come quello sugli aspetti dell’Illuminismo tedesco. 
Nella produzione editoriale dell’Istituto, alle collane dedicate all’idealismo tedesco (Fichtiana, Schellinghiana e Hegeliana), si affiancano opere di notevole valore su Kant e su molti altri filosofi della cerchia dell’idealismo tedesco. Ma questo non è una novità, e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici merita riconoscenza. Noi tedeschi dobbiamo ringraziare il fondatore e presidente di quest’istituzione, l’avvocato Marotta, che l’ha creata per amore della filosofia, investendo nell’Istituto una quantità enorme delle sue sostanze private.
La filosofia tedesca ha perduto nel mondo molto del suo credito di un tempo. La penetrazione della filosofia analitica di stampo britannico e americano ha comportato anche una pesante contrazione della filosofia tedesca, e anche sul continente quest’ultima può difendersi soltanto con difficoltà nei confronti dei filosofi francesi. Perciò dovrebbe essere ancora maggiore la nostra riconoscenza per l’interesse che suscitiamo in Italia e in particolare per la cura con la quale a Napoli l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici preserva e continua a sviluppare la nostra eredità. A quest’interesse dovremmo rispondere con una maggiore attenzione per la tradizione filosofica italiana: la mostra, per la quale la Freie Universität ha messo a disposizione i locali, costituisce un’ottima occasione per approfondirne la conoscenza.

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