Antonio Gargano
Eraclito
Platone e Aristotele pongono Eraclito tra i filosofi naturalisti a fianco di Talete, Anassimandro e Anassimene: egli si sarebbe posto prima di tutto il problema dell’archè, dando una soluzione differente da quella degli altri ionici. Ciò che è presente in tutte le cose, ciò che quindi è fondamento di tutto, l’archè, è il divenire stesso di tutte le cose: niente è immobile, ogni cosa muta e si trasforma continuamente. L’elemento che più si presta, proprio per la sua mobilità, a simboleggiare il divenire è il fuoco. Il fuoco ha la caratteristica di poter trasformare tutte le cose e tutte le cose possono prendere fuoco, trasformarsi in fuoco: «Mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose...» dice Eraclito nel frammento 90. Ma anche un’altra caratteristica del fuoco spingeva probabilmente Eraclito a vedere in questo elemento l’archè: la fiamma è animata da un vorticoso dinamismo, cambia in ogni istante, ma, pur in questo continuo mutamento, resta la stessa e si presta quindi a indicare la compresenza di unità e pluralità della realtà. Il fuoco è uno e multiplo, è se stesso e ad ogni istante è diverso da sé. Eraclito intuisce che essere e divenire sono strettamente congiunti, che essere sé e trasformarsi in altro non sono due stati completamente distinti e separati. Proprio la difficoltà di rendere idea della compresenza di essere e divenire in tutte le cose porta Eraclito a esprimersi in un linguaggio apparentemente contraddittorio che gli ha meritato nell’antichità l’appellativo di «scoteinòs», l’oscuro.
Il fuoco dunque simboleggia il divenire universale, ma la più importante scoperta di Eraclito è che questo divenire non è casuale e caotico, bensì regolare e ordinato. Egli afferma: «Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era, è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura» (framm. 30).
Eraclito è così il primo assertore del logos, cioè della razionalità presente nella natura, che viene rispecchiata dalla razionalità della mente umana.
Tutti i fenomeni della natura avvengono secondo leggi ben precise, sono soggetti a leggi necessarie e insieme tutti gli uomini sono dotati di ragione (framm.113). Non tutti gli uomini però fanno uso pieno della ragione: i più si fermano all’apparenza, ai sensi, all’opinione: «Pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza» (framm.2). Eraclito polemizza aspramente con chi vive «dormendo», cioè scambiando le proprie personali opinioni per la realtà oggettiva (come chi sogna e scambia le proprie fantasie per la vera realtà). Gli «svegli», cioè coloro che adoperano la ragione per orientarsi nel mondo, coloro che seguono il logos, hanno un cosmo comune. «Bisogna seguire ciò che è comune» dice Eraclito (framm.2). Il logos, presente in tutti gli uomini, la ragione, facoltà conoscitiva suprema, ci mette in contatto con la logica, la razionalità presente nelle cose, ci permette di coglierle nella loro oggettività. Ai sensi, al sentimento, alle passioni, agli istinti, le varie situazioni, i vari aspetti della realtà si presentano diversi da individuo a individuo. Sensi, sentimenti, passioni, istinti, sono soggettivi, la ragione è invece in grado di metterci in contatto con 1’oggettività delle cose, essa è quindi universale, e accomuna gli uomini, mentre le altre facoltà e attitudini umane portano a divergenze e particolarismi. Afferma Hegel a proposito delle posizioni di Eraclito sul logos e della sua polemica con le opinioni: «Il sogno è la conoscenza di qualche cosa che so soltanto io; l’immaginazione e simili sono appunto sogni. Similmente il sentimento è il modo per cui qualche cosa è soltanto per me, e che io ho in me come soggetto particolare; per quanto i sentimenti siano elevati, quello che io sento è essenzialmente per me, come individuo. Invece nella verità (colta dalla ragione) l’oggetto non è immaginario, fatto oggetto soltanto da me, ma è in sé universale».
Il divenire, che è l’essenza della realtà, si manifesta come continuo presentarsi di contrari: ogni cosa tende a trasformarsi nel suo opposto, il giorno in notte, la veglia in sonno, il giovane in vecchio. Il contrasto e l’armonia di forze contrastanti è alla base di tutta la realtà: «Polemos è padre di tutte le cose» (framm. 53).
Eraclito, figlio di Blosone o, secondo altri, di Eraconto, nacque ad Efeso. Raggiunse l’acme negli anni della sessantanovesima olimpiade. Fu altero e superbo come pochi altri, come risulta chiaramente dal suo scritto, 1à dove dice: «Sapere molte cose non insegna ad essere intelligenti, altrimenti l’avrebbe insegnato a Esiodo, a Pitagora, a Senofane e ad Ecateo»; e poi: «Essere saggi è solo questo, comprendere la ragione che governa tutto attraverso tutto».
Con tono di rimprovero si esprime anche nei confronti dei cittadini di Efeso perché avevano bandito il suo amico Ermodoro. Ad un certo punto i suoi concittadini gli proposero di dar loro nuove leggi: egli rifiutò, sostenendo che la città era ormai in preda al malcostume politico. Una volta si ritirò nel tempio di Artemide e si mise a giocare a dadi con i bambini ; agli Efesii, che lo guardavano stupiti, disse: «Perché vi meravigliate, gente malvagia? Non è meglio far questo che occuparsi di politica in mezzo a voi?». Alla fine, non sopportando più la compagnia degli esseri umani, si ritirò dal consesso civile e andò a vivere sui monti.Fin dalla fanciullezza suscitò meraviglia: da giovane diceva di non sapere nulla; da adulto, diceva di sapere tutto. Non ebbe maestri: a quanto diceva, aveva studiato se stesso, e in se stesso aveva trovato tutto quello che c’era da imparare... Il libro che gli viene attribuito si intitola La natura a causa del suo argomento principale, ma si divide in tre discorsi: sul tutto, sullo Stato, sulla divinità. Eraclito depose il suo libro nel tempio di Artemide: alcuni credono che lo avesse scritto volutamente in forma oscura, perché fosse accessibile solo ai competenti, e perché non fosse motivo di disprezzo l’essere esso alla portata del volgo.
(DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, IX, 1 sgg.)
Frammenti
Non è possibile discendere due volte nello stesso fiume, né due volte toccare una sostanza mortale nello stesso stato; ma per l’impeto e la velocità della mutazione (si) disperde e di nuovo si ricompone, e viene e se ne va (fr. 91). A chi discenda negli stessi fiumi, sopraggiungono sempre altre e altre acque (fr. 12). Noi scendiamo e non scendiamo in uno stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo. (fr. 49)
Mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose, allo stesso modo dell’oro con tutte le cose e di tutte le cose con l’oro. (fr. 90)
Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura. (fr. 30)
Di questo logos, che è eterno, inintelligenti sono gli uomini e prima di ascoltarlo e subito dopo averlo ascoltato, perché, pur producendosi ogni cosa secondo questo logos, somigliano a chi non ha esperienza, anche quando sperimentano parole e opere tali quali io spiego, secondo natura analizzando ogni cosa ed esponendo com’è. Agli altri uomini sfugge quel che fanno da svegli, come non hanno coscienza di quel che fanno dormendo. (fr. 1)
Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza. (fr. 2)
Dal logos, col quale stanno sempre continuamente insieme essi discordano e quelle cose in cui ogni giorno si imbattono appaiono loro estranee.(fr. 72)
Il pensare è a tutti comune.(fr. 113)
Anche colui che alla prova è il più stimato conosce e conserva solo opinioni; ma invero Dike coglierà sul fatto gli artefici e i testimoni di menzogne. (fr. 28)
L’opinione è un male caduco e che la vista in-ganna. (fr. 46)
Non giudichiamo a casaccio delle cose più grandi. (fr. 47)
Assai meglio Eraclito ritenne che le opinioni umane sono soltanto «giuochi di fanciulli». (fr. 70)
Chi parla con intelligenza deve appoggiarsi su ciò che è comune a tutti, come una città sulla legge, anzi molto più saldamente. Poiché tutte le leggi umane sono nutrite dall’unica legge divina; ché essa domina tanto quanto vuole, e basta a tutti e trionfa. (fr. 114)
Dio è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, fame-sazietà: il suo mutare è come quello del fuoco, quando si mescola ai profumi e prende nome da ciascuno di essi. (fr. 67)
Polemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi. (fr. 53)
La stessa cosa sono il vivo e il morto, lo sveglio e l’addormentato, il giovane e il vecchio: questi si trasformano in quelli, e quelli di nuovo in questi. (fr. 88)
Congiungimenti sono intero non intero, concorde discorde, armonico disarmonico, e da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose.(fr. 10)
Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira. (fr. 51)
Il mare è l’acqua più pura e più impura: per i pesci essa è potabile e conserva loro la vita, per gli uomini essa è imbevibile e esiziale.(fr. 61)
Una e la stessa è la via all’insù e la via all’ingiù. (fr. 60)