Archivio delle attività

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Remo Bodei - "Se la storia ha un senso" (5/5)

Quinta lezione
Napoli, 1° luglio 1994
Verso un costruttivismo storico

Nell’ultimo incontro dedicato al senso della storia, Bodei offre ampio spazio al dibattito con il pubblico. Attraverso tale scambio, egli ha occasione di chiarire ulteriormente la differenza tra l’impostazione aristotelica e quella hegeliana nell’analisi del rapporto tra famiglia e Stato e di ritornare sui modi del finalismo nelle filosofie della storia, soffermandosi in particolare sull’esaltazione hegeliana del mezzo sul fine: è attraverso il lavoro infatti che l’uomo si serve delle forze naturali a proprio vantaggio. Per altri pensatori, come Droysen e Burckhardt, il conflitto tra l’agire umano e le forze elementari è accentuato e trova una ragion d’essere nel tratto sovversivo degli esseri umani. Nell’ottica della lotta, la crisi si trova persino ad essere esaltata da Burckhardt come «nuovo nodo nello sviluppo [dell’umanità]». Dilthey si spinge sino a sostenere la totale irrazionalità della realtà: i prodotti umani accumulati nella forma dello spirito oggettivo devono essere risemantizzati affinché abbiano senso per la nostra esperienza immediata del mondo. L’impossibilità di ricondurre la storia a un telos che contraddistingue il mondo contemporaneo non si traduce però per Bodei in una rinuncia totale a una storia globale, ma piuttosto nell’idea di un costruttivismo storico. Le storie locali possono infatti essere intrecciate a partire dalla creazione di istituzioni di senso o politiche che mettano gli uomini in relazione tra loro. 

Estratto dalla lezione

In conclusione, mi sembra che se rispondiamo a quella domanda volutamente retorica che dà il titolo alla conversazione di oggi, «quali categorie potrebbero rendere intellegibile una storia non semplicemente narrativa?», la risposta potrebbe essere questa: noi non possiamo accettare una storia che sia semplice narrazione di eventi, che sia semplice récit, anche perché qualsiasi storia narrativa in realtà è soltanto falsamente narrativa. In realtà non può fare a meno di essere esplicativa. Allora l’unico modo che abbiamo è intanto, di fronte a questa crisi del telos e della direzione, di riconoscere il carattere locale delle nostre storie, di non pretendere di avere un intreccio polibiano già garantito dallo Stato o una marcia agostiniana già garantita dalla Provvidenza o una mano nascosta alla scozzese o alla Vico che ci prepara la storia, ma è l’idea di un costruttivismo storico; cioè a partire dalle istituzioni umane che sono forme di organizzazione del senso (oltre che forme di oppressione o di tipo burocratico), dalle forme multiple di organizzazione del senso, dagli organismi donatori di senso (Stato, giustizia, istituzioni, università, sapere) provare a rintrecciare secondo criteri di selezione nuovi degli eventi, dove “nuovi” vuol dire da ritrovare, non nuovi in senso enfatico. Dei criteri buoni per riallacciare pazientemente questi fili scoordinati della storia, per costruire insieme una direzione; nel senso che per intrecciare insieme dei fili, che sono le storie personali, sono fili molto fitti, son corde molto fitte che però sono tanto più robuste quanti più fili si intrecciano. Quindi dobbiamo cercare di intrecciare la nostra storia personale attraverso meccanismi di comprensione, ma anche attraverso meccanismi istituzionali per creare una storia comune. Detto in altri termini e in maniera molto evidente, anche se più povera, gli uomini se non si creano istituzioni di senso o politiche, nazionali e transnazionali, che li mettano in relazione tra loro e che correggano le storture della relazione tra loro - qui entra il problema della guerra e del multiculturalismo - non potranno dar luogo a una storia comune che abbia un minimo di senso globale. Quindi ciascuno tenderà a ricostruirsi a riccio e a proporre la sua identità e la sua donazione miope, parziale e volutamente escludente degli eventi contro qualsiasi storia globale. Detta in forma riassuntiva: noi dobbiamo provvisoriamente rinunciare all’idea di una storia globale comprensibile senza però dimenticarci di vedere che a determinati livelli vi è una storia globale già in atto, sebbene ad altri livelli non vi sia. Quindi è una storia delle differenziazioni all’interno dell’intreccio tra le varie storie personali, di gruppo, sociali, e la storia globale che dobbiamo ricostruire. A me sembra che la prima cosa sensata, non per ricostruire una filosofia della storia né per interpretare prognosticamente quello che succederà, ma semplicemente per orientarci all’interno degli eventi, cosa che comunque ciascuno fa, ma che fa nel modo peggiore se non ha riflessione su quello che fa, la prima cosa per orientarci è quella di sfuggire al senso preconfezionato e cellofanato che ci viene propinato tutti i giorni in modo più o meno interessato anche dai giornali e cercare di vedere in che modo e secondo quali gradi di difficoltà la storia si muove. Come diceva una volta Warburg, «il buon Dio si nasconde nei dettagli»; va detto oggi che il buon Dio purtroppo non si nasconde soltanto nei dettagli, ma anche nell’intero, e che qualsiasi operazione per legare insieme il locale e il globale da qualsiasi punto di partenza si cominci, o facendo cose microscopiche o cose macroscopiche, ma ciascuna delle quali va nella direzione del suo opposto complementare, il microscopico verso il macroscopico e il macroscopico verso il microscopico, qualsiasi intreccio sensato di nostri eventi con eventi globali ci porta a un miglioramento non solo della comprensione ma probabilmente come fall out, come residuo, anche di alcuni aspetti non tropi ma significativi della nostra vita.

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