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Reiner Schürmann - "Il problema della trasgressione in filosofia da Kant a Heidegger"

Napoli, 8 febbraio 1985

 

Svolgendo l’ipotesi di Jacques Derrida secondo cui «la condizione di possibilità della legge [è] l'a priori di una contro-legge» (La loi du genre, in Glyph 7, 1980, p. 178), Reiner Schürmann penetra nel fondo del concetto kantiano di trascendentale analizzandone i presupposti giuridici. Che cos’è infatti il trascendentale se non la forma stessa di un’opera legislativa emanata dall’io penso?
Eppure, tale opera – la determinazione delle “categorie” e la relativa fissazione di un tribunale della ragione – è preceduta dall’atto stesso mediante cui il soggetto si pone. La «nomotesi» presuppone cioè necessariamente una «egotesi», che trascende la norma. La «legislazione» si scopre attraversata da un principio anarchico: essa è tale dal momento che al suo interno dimora la «trasgressione». 
È nella stessa prospettiva che Schürmann interpreta il pensiero di Friedrich Nietzsche. Tutt’altro che ostile al razionalismo moderno, Nietzsche ne rappresenta, piuttosto, il culmine. Il soggetto trascendentale che, nell’auto-porsi, eccede la sua opera nomotetica, diviene con Nietzsche la pura volontà di potenza, un movimento illimitato che supera ogni singola forza, ogni Herrschaftsgebilde («formazione di dominio») particolare, portando così a compimento il programma illuministico kantiano.
È merito di Martin Heidegger aver ricondotto le figure della legislazione-trasgressione alla differenza ontologica fra l’essere e l’ente (Sein/Seiendes), l’indeterminato e il determinato. Con Heidegger, cioè, il soggettivismo moderno viene a estinguersi in una storia dell’essere: la trasgressione viene ora ad abitare il cuore stesso della temporalità – essa è l’evento (Ereignis) che si sottrae dall’avvenimento storico (Epoche) e, insieme, ne costituisce l’inizio. Così come non vi sarebbe storia se non vi fossero le archai, gli inizi, di un’epoca, allo stesso modo non vi sarebbero le epoche se gli avvenimenti non fossero spogliati di determinazioni e di archai. Se l’essere, cioè, non fosse di per se stesso an-archico.
Del testo della conferenza napoletana si conservano nell’archivio della New School for Social Research (New York) due versioni ampliate in lingua inglese intitolate Legislation-Transgression: Strategies and Counter-Strategies in the Transcendental Justification of Norms. Come Schürmann confida nel corso della discussione, la conferenza faceva parte di un ampio progetto mai portato a termine sul tema della trasgressione nella filosofia occidentale, da Parmenide a Plotino, da Duns Scoto a Heidegger. 
Di questa prima parte – veri e propri prolegomeni a una decostruzione dell’ontologia come nomotetica – l’autore di Le principe d’anarchie. Heidegger et la questione de l’agir (1982) offre una densa lettura in francese scandita da pause, commenti, puntualizzazioni. Una rara occasione per ascoltare una delle voci più originali del secondo Novecento filosofico. 

Résumé en français

   

  • Ugo M. Ugazio, La volontà nella metafisica: Heidegger e Schopenhauer, in «Filosofia», anno XXXII, fasc. I, gennaio 1981, pp. 13-32
  • Marco Ivaldo, I princìpi del sapere. La visione trascendentale di Fichte, Bibliopolis, Napoli 1987
  • Karl-Otto Apel, Il problema dell’uso linguistico apertamente strategico nella prospettiva pragmatico-trascendentale, in «Informazione filosofica», numero 26, novembre 1995, pp. 19-26
  • Franco Volpi, Eddy Carli, Il “Nietzsche” di Martin Heidegger, in «Informazione filosofica», numero 25, giugno 1995, pp. 5-8
  • Adriano Ardovino,
 Heidegger. Esistenza ed effettività. Dall’ermeneutica dell’effettività all’analitica esistenziale, Guerini e Associati, Milano 1998
  • Graziano Biondi,
 La ricerca di Heidegger sulla temporalità. Un’ipotesi sul contenuto e i temi della terza sezione della prima parte di “Essere e tempo”, Guerini e Associati, Milano 1998
  • Massimo Bonola, Essere il tempo. Genesi del concetto di tempo negli anni di Heidegger a Marburg (1923-28), in «Filosofia», anno XXXIX, fasc. III, settembre - dicembre 1988, pp. 315-335
  • Sossio Giametta, Saggi nietzschiani, La Città del Sole, Napoli 1998
  • Johann G. Fichte, 
Logica trascendentale I. L’essenza dell’empiria, traduzione, introduzione e cura di A. Bertinetto, Guerini e Associati, Milano 2000 (ed orig. Vorlesungen 1812. Transzendentale Logik I)
  • Gwendoline Jarczyk, Pierre-Jean Labarrière, L'impronta del desertol L'a-teismo mistico di Meister Eckhart, Guerini e Associati, Milano 2000
  • Gaetano Chiurazzi, 
Modalità ed esistenza. Dalla critica della ragion pura alla critica della ragione ermeneutica: Kant, Husserl, Heidegger, Trauben, Torino 2001
  • Pierfrancesco Stagi, Nichilismo ed abbandono dell’essere. Il significato dell’altro all’inizio del pensiero in Heidegger dalle “Grundfragen der Philosophie” ai “Beiträge zur Philosophie, in «Filosofia», anno LII, fasc. I, gennaio - aprile 2001, pp. 35-60
  • Roberto Giusti, La potenza all’origine. Heidegger interprete di Aristotele, prefazione di V. Vitiello, La Città del Sole, Napoli 2000
  • Ernesto Grassi, 
Il colloquio come evento, traduzione, introduzione e cura di R. Messori, presentazione di H. Schmale, La Città del Sole, Napoli 2002
  • Osvaldo Guariglia, Moralità. Etica universalista e soggetto morale, a cura di V. De Cesare, trad. di E. M. Ferrara, La Città del Sole, Napoli 2002 (ed. orig. Moralidad. Ética universalista y sujeto moral)
  • Fulvio Tessitore, Bertrando Spaventa e il “Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere”, Bibliopolis, Napoli 1978
  • Sossio Giametta, 
I pazzi di Dio (Croce, Heidegger, Schopenhauer, Nietzsche e altri). Saggi e recensioni, La Città del Sole, Napoli 2002
  • Yves C. Zarka, 
L’altra via della soggettività. La questione del soggetto e il diritto naturale nel XVII secolo, trad. di F. P. Adorno, Guerini e Associati, Milano 2002 (ed. orig. Ralph Cudworth et le fondement de la morale: l’action, le sujet et la norme)
  • Eugenio Mazzarella, La volontà di potenza come volontà di forma: arte e natura in Nietzsche, in «Iride», anno XV, n. 36, agosto 2002, pp. 283-296
  • Friedrich-Wilhelm von Herrmann, La “Critica della ragion pura” come metafisica trascendentale, in «Magazzino di filosofia», n. 11. B4/Segmenti, 2003, pp. 5-27
  • Alfredo Marini, Sul carattere rivoluzionario della deduzione trascendentale kantiana, in «Magazzino di filosofia», n. 11. B4/Segmenti, 2003, pp. 73-95
  • Ferdinando G. Menga,
 La passione del ritardo. Dentro il confronto di Heidegger con Nietzsche, FrancoAngeli, Milano 2004
  • Félix Duque,
 La radura del sacro, a cura e con una postfazione di E. Forcellino, trad. dallo spagnolo di L. Sessa e E. Forcellino, Albo Versorio, Milano 2007
  • Karl Jaspers, Nietzsche e il Cristianesimo, traduzione, cura e prefazione di G. Dolei, Christian Marinotti, Milano 2008 (ed. orig. Nietzsche und das Christentum)

Testo di Reiner Schürmann tratto da Le principe d’anarchie. Heidegger et la question de l’agir

Le principe d’anarchie. Heidegger et la question de l’agir [1982]; trad. it. e cura di G. Carchia, Dai principî all’anarchia. Essere e agire in Heidegger, Neri Pozza, Vicenza 2019, pp. 20-30

 

Una questione decisiva è per me oggi come un sistema
politico, non importa di che tipo, possa in linea generale
essere coordinato all’epoca tecnologica. Non conosco la
risposta a questo problema. Non sono convinto che sia la
democrazia1
 

Ciò che interessa qui è la natura di questo «non conosco», dell’ignoranza confessata in queste righe – simulata? Sincera? O forse necessaria? Non considererò questa confessione d’ignoranza come un significante capace di rinviarci ad un qualche stato di coscienza o ad un qualche avvenimento nella vita di Martin Heidegger, un significante dunque che sarebbe il simbolo di un significato psicologico, politico o morale. Che la confessione d’ignoranza sia pretesa o sincera, che si riferisca a nostalgie politiche oppure no, tutto ciò non m’interessa. L’importante è che questa confessione non può essere accidentale. Essa ha forse a che fare direttamente col solo problema che non ha smesso di preoccupare Heidegger.

[…]

La confessione d’ignoranza in rapporto al sistema politico meglio adatto all’epoca tecnologica appare ora come una conseguenza della radicalizzazione di un altro topos kantiano, l’illuminismo. «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità cagionato da lui stesso»[1]. Per la fenomenologia radicale, l’uomo occidentale si è rinchiuso in questa condizione di minorità attribuendo un carattere di fondamento ultimo a talune delle sue rappresentazioni. L’uscita da una simile condizione autoimposta può realizzarsi solo se la ragione disferà ciò che essa stessa ha costruito. Sottomettere a critica le finzioni paradigmatiche che essa ha imposto a se stessa, significa mostrare la loro origine. Tutto ciò non si può fare, comunque, indagando ancora una volta sulla costituzione del soggetto, dal momento che proprio l’Io trascendentale è ciò che Kant finisce con l’erigere di nuovo a Primo. La fenomenologia critica dovrà perciò rivolgersi alla storia del venire alla presenza se vorrà porre a nudo le condizioni dello stato di minorità autoimposto e completare l’impresa dell’illuminismo – l’emancipazione – lasciata incompiuta da Kant. Il pensiero metafisico, sotto la maschera della razionalità, costruisce sistemi di tutela; esso ha un carattere speculativo nella misura in cui la sua razionalizzazione della schiavitù è tenuta a riflettere un ordine a priori che si può conoscere tramite la contemplazione o la riflessione. Il pensiero fenomenologico, d’altro canto, svela il maccanismo di questi sistemi così come gli interessi che essi difendono. Contrariamente, però, alle accuse di una certa critica contemporanea (le accuse, in particolare, che provengono dalla cosiddetta “Teoria critica”), detronizzare il soggetto trascendentale in quanto ultimo referente moderno non equivale affatto a celebrare l’irrazionalità e ad abbandonare la lotta in favore del rischiaramento. Heidegger radicalizza quella lotta allorché pone polemicamente il «pensare» contro la «ragione», la quale è l’origine dei sistemi di custodia speculativa. La sua confessione d’ignoranza indica soltanto che la fenomenologia radicale non deve rivolgersi ad un simile garante supremo.

La confessione d’ignoranza appare, dunque, ora più coerente, meglio inscritta quanto meno nell’insieme di quella trama che è il discorso decostruzionista. Se la questione dei sistemi politici può diventare un tema di discussione solo nell’ambito delle organizzazioni epocali e principiali e se, d’altro canto, la modalità epocale-principiale del venire alla presenza giunge a termine nell’epoca della chiusura, allora soppesare vantaggi e inconvenienti dei differenti sistemi è una maniera sbagliata di sollevare il problema politico. Tutto questo lo si può mostrare in diversi modi.

Innanzi tutto, e si tratta del fattore meglio conosciuto, attraverso l’opposizione fra pensare e conoscere. In Heidegger, nessuna dialettica collega il pensiero alla conoscenza, nessuna sintesi permette di passare dall’uno all’altra: «Le scienze non pensano». Questa opposizione, ereditata da Kant (sebbene, malgrado l’uso massiccio che Heidegger ne fa, egli non riconosca mai questo debito), stabilisce qualcosa come due territori, due continenti, tra i quali non sussiste analogia e neppure somiglianza. «Non esiste alcun ponte che conduca dalla scienza al pensiero»[2]. Noi «pensiamo l’essere» e le sue epoche, ma «conosciamo gli enti» e i loro aspetti. C’è, dunque, un’ignoranza generalizzata che colpisce il pensiero in tutto il suo procedere. Se Heidegger invoca con tanta insistenza questa necessaria povertà della filosofia, è forse perché essa fa le veci di una necessità più vicina ancora all’impresa stessa del pensiero.

L’impresa del pensiero, lungo la linea di confine che racchiude una lunga storia, consiste nel «ripetere» o recuperare il venire alla presenza stessa, nel «riguadagnare le esperienze dell’essere che sono all’origine della metafisica grazie a una decostruzione delle rappresentazioni che sono diventate correnti e vuote»[3]. Se questa lunga storia giunge ora effettivamente alla sua fine (e l’affermazione insistente di Heidegger e di altri dopo di lui[4] a questo riguardo può lasciare perplessi), allora, entrando in crisi, la struttura di questo campo si sgretola; i suoi principî di coesione perdono la loro efficacia; il nomos del nostro oikos, l’economia che ci comprende, produce sempre meno certezze. Il momento nel quale si varca una soglia epocale è inevitabilmente un momento d’ignoranza.

Infine, la necessaria ignoranza concernente i sistemi politici e i loro meriti rispettivi risulta dalla costellazione del venire alla presenza la cui alba ci viene descritta come una cessazione dei principî, una detronizzazione del principio stesso dei principî epocali, come l’inizio dunque di una economia del passaggio e cioè dell’anarchia. Nell’epoca della transizione, allora, parole, cose e azioni verrebbero alla presenza in modo tale che la loro interazione pubblica è irriducibile a qualsiasi sistematicità. È attraverso una deduzione storica delle categorie de «l’altro inizio» che diventerà pensabile un’azione privata di un pros hen unificante. La medesima deduzione stabilirà la possibilità di pensare, entro il molteplice della prassi, un’identità che consista solamente di «tratti direttivi». Siccome poi questi tratti si applicano alla «teoria» non meno che alla «pratica», questa distinzione perde la sua pertinenza.

[1] Martin Heidegger, Nur noch ein Gott kann uns retten, in «Der Spiegel», 31 maggio 1976, pp. 193-219; trad. it. di A. Marini, Ormai solo un dio ci può salvare, Guanda, Milano 1987, p. 206.
[2] Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (1784), A 481; trad. it. Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, in Scritti politici, Utet, Torino 19652.
[3] Le due citazioni provengono da M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, G. Neske, Pfullingen 1954; trad. it. di G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, pp. 133 s.; 88. 
[4] M. Heidegger, Wegmarken, V. Klostermann, Frankfurt a.M. 1967, VIII; trad. it. di F. Volpi, Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pp. 245; 411. Sulla «decostruzione», Abbau, cfr. M. Heidegger, Gesamtausgabe, vol. XXIV: Die Grundprobleme der Phänomenologie, V. Klostermann, Frankfurt a.M. 1976; trad. it. di A. Fabris, I problemi fondamentali della fenomenologia, Il Melangolo, Genova 1988, p. 31; e M. Heidegger, Vier Seminare, V. Klostermann, Frankfurt a.M. 1977; trad. it. di M. Bonola, Seminari, Adelphi, Milano 1992, p. 33.
[5] «Peut-être la méditation patiente et l’enquête rigoureuse… sont-elles l’errance d’une pensée fidèle et attentive au monde irréductiblement à venir qui s’annonce au présent, par-delà la clôture du savoir»: J. Derrida, De la grammatologie, Les Éditions de Minuit, Paris 1967, p. 14.

 

Testo di Ágnes Heller

Ágnes Heller, The Simul. Reiner Schürmann reads Kant through Luther, in «Graduate Faculty Philosophy Journal», vol. 40, 2, 2019, pp. 349-363

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