Malgrado il fiorire di numerosi studi sull’arte del comico, la storia della caricatura resta «una cenerentola della storia dell’arte». Se da un lato, infatti, la caricatura mira a cogliere l’effimero, il «volatile», più che l’eterno, dall’altro, essendo in tutta apparenza debitrice della satira e del giornalismo, la sua riflessione sembra essere affidata agli storici della politica più che agli storici dell’arte.
È questo presupposto satirico della caricatura che Ernst Gombrich si propone di rovesciare indagandone gli stili, le tecniche e i modelli di riferimento. Se la caricatura trova la sua massima diffusione sui giornali del primo Novecento, l’ora che ne segna lo splendore risale molto addietro e ha a che fare col ritratto rinascimentale.
Sin dalla sua nascita, fissata nel XVI secolo con i fratelli Carracci, e almeno fino alla prima metà del XVIII secolo, la caricatura è ancora pienamente connessa alla mano e al virtuosismo del pittore. In essa, gli artisti si misurano con una zona d’ombra del disegno – tanto nella sua vita interna, costantemente tesa tra il divertissement e l’esasperazione della somiglianza ritratta (caricatura come carico, aggravio di peso), quanto nella sua ricezione nel contesto di una società del decoro poco incline all’ironia.
Ma così come, dal punto di vista sociale, le qualità dell’individuo tendono ad affermarsi sul loro ceto, allo stesso modo anche il disegno tende man mano a liberarsi e a prevalere sull’autorità del pittore. La storia della caricatura è la storia della sua graduale accettazione, se non attrazione, in seno alla società borghese – accettazione che segna a un tempo la perdita di artisticità dell’opera e la caduta del risalto in eccesso, del caricare in caratterizzare. È in particolare nell’Inghilterra nel XVIII secolo che la caricatura diviene un fenomeno di massa ad uso polemico. Pochi tratti meccanici e la vignetta è fatta.Eppure, nell’arco segnato dalla sua lunga vita, da Carracci a Daumier, fino alle pagine del New York Times, la caricatura non cessa di testimoniare della capacità che le è congenita: quella di saldare in un solo tratto il destino e il carattere della sua vittima. Quasi fosse, come scrive Agucchi nel Seicento, il disegno caricaturale una profana divinazione.
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