Lo studio di Ricœur si apre su una premessa che concerne il senso della “storia” e si costruisce su un paradosso che riguarda lo statuto della “verità” in essa. Se rinunciamo a pensare (con Hegel) la storia nella sua totalità, per pensarla a partire dal rapporto tra ciò che è stato e che ora non è più, a partire, cioè, dal rapporto tra coloro i quali, pur assenti nei testi, sono stati presenti nella storia, il problema che si pone è duplice. Si tratta, da un lato, di riflettere sulla struttura temporale della storia e, correlativamente, sulla maniera in cui essa racconta il tempo; dall’altro lato, poiché nella storia la verità in esame si esercita nella dimensione dell’«assenza», interrogarne lo statuto significa mettere in discussione la nozione stessa di verità. Fedele alla premessa posta (abbandonare le filosofie speculative), Ricœur procede innanzitutto con l’esaminare le filosofie critiche legate alle “pratica” storica. Il primo compito di una filosofia della storia è render conto del gesto con cui la storia si afferma come “critica” delle fonti, ovvero come prova di «veridicità». È allora a partire dall’analisi della prima delle tre modalità – la «prova documentale» – in cui si articola il lavoro dello “storico di professione”, che il filosofo francese affronta il problema dell’oggettività della conoscenza storica. Nel mostrare le difficoltà epistemologiche legate a nozioni quali «documento», «traccia», «testimonianza» o, ancora, nel sottolineare il valore proposizionale e enunciativo del concetto di «fatto» storico, intento di Ricœur non è solo quello di incoraggiare il dialogo tra le due discipline (la storia e la filosofia), ma anche di precisare quale significato la nozione di verità assuma; se essa sia effettivamente la questione principale della storia e se non sia possibile elaborarne una nozione più sottile, che si differenzi dalla mera idea di verità referenziale, di verità come corrispondenza.
- Livio Sichirollo, La filosofia hegeliana della storia, 3-4 febbraio 1986
Lezione del 3 febbraio
Lezione del 4 febbraio - Giulio Raimondi, Gli archivi e la loro importanza per la memoria storica: problematiche generali e storia degli archivi, 7-10 gennaio 2003
- Maurizio Ferraris, Documentalità: ontologia degli oggetti sociali, 21-24 maggio 2007
Lezione del 21 maggio
Lezione del 22 maggio
Lezione del 23 maggio
Lezione del 24 maggio - Maurizio Ferraris, Documentalità, II. Teoria generale del mondo sociale, 10-12 giugno 2008
Brano tratto dalla lezione di Paul Ricoeur, Traccia e prova documentale, in Il problema della verità nella storia
Napoli, 25 maggio 1992
Fra memoria e documento
Apro qui una parentesi, perché quando ho preparato questo testo non avevo ancora partecipato, come invece ho fatto qualche giorno fa, al dibattito di uno storico francese sulla Seconda guerra mondiale e il problema di Auschwitz. Si tratta del problema del rapporto alla memoria; possiamo infatti dire che la storia comincia là dove la memoria cessa, poiché la memoria da un’illusione di “presenza”, essa è ciò che rende il passato presente o “al presente” (ciò che peraltro è falso, perché la memoria in quanto tale è una relazione all’assenza); vi è un’illusione di presenza, un’impressione di presenza o perlomeno una forma di continuità con il passato, mentre invece il documento segna la rottura con la memoria. È d’altronde ciò che rende estremamente difficile scrivere la storia recente, poiché vi è concomitanza tra la memoria dei sopravvissuti e i documenti. Una delle più grandi difficoltà di scrivere è proprio questa: la storia recente (che è la storia degli ultimi sopravvissuti, i quali hanno ormai novant’anni) si confonde fra memoria e documento. Possiamo dire che la storia vera e propria comincia quando il conflitto fra la storia e il documento cessa e non vi è più che il documento. Anche i ricordi dei sopravvissuti, una volta che essi non sono più là per difenderli, divengono documenti. Richiamo questo testo di Platone, il Fedro, che parla della scrittura come di ciò che non ha più nessuno a difenderla; da vivi si può correggere, rettificare, mentre invece il documento scritto è il silenzio dell’autore. Solo quando entriamo in questo silenzio siamo davvero davanti a un documento.