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Franco Chiereghin - Le aporie dell'agire e le condizioni di una vita buona (4/4)

Quarta lezione
Napoli, 1° giugno 1995

Le aporie dell'agire e le condizioni di una vita buona

 

Nella lezione conclusiva Chiereghin si interroga su quale ente sia in grado di sostenere l’interrogazione sulla libertà e sull’agire. La definizione dell’uomo come animale razionale ha il difetto tipico di ogni definizione per contrapposizione: essa rischia di far cadere a margine l’interrogazione sull’umano in rapporto a se stesso. La specificità dell’uomo è quella di operare non sugli elementi che gli sono dati, ma sul nesso, sulla capacità di intervenire nella relazione tra i termini fondamentali che lo definiscono. Non è nel considerarsi razionale che l’uomo si rivela all’altezza che la sua essenza gli impone, ma nel riconoscersi suscettibile di imputazione, soggetto moralmente responsabile delle proprie azioni. La spinta che porta l’uomo a chiedersi chi è nasce dal suo cogliersi come centro di volizioni e affermazione di sé da una parte, e dall’altra come essere gettato nel mondo, volente non volutosi. Si dà qui una alternativa: accettare e assumere la propria esistenza o rifiutarla. Nella trascuratezza di tale alternativa sta, per Kant, l’origine stessa della possibilità del male: distrarre l’attenzione dalla necessità di mettere in questione la totalità della propria esistenza costituisce la prima menzogna che l’uomo pronuncia verso se stesso, lo spalancarsi del vuoto di responsabilità. Curiosamente, il presentarsi dell’alternativa tra accogliersi o rifiutarsi costituisce il punto più alto di un potere di differenziazione che non è proprio dell’uomo, ma che egli condivide con tutto il mondo del vivente. L’autodifferenziazione sembra infatti essere la cifra distintiva dell’organico: l’organismo, nella sua costituzione, è infatti un dividersi in atto. L’alternativa offre la possibilità di compiere la scelta originaria, compiendo la quale ci troviamo a essere i soli responsabili del distacco dell’esistenza individuale. Definire kantianamente l’uomo non come razionale, ma come razionabile, permette di compiere il passaggio dall’antropologia filosofica all’etica.

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