Archivio delle attività

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Seconda lezione
Napoli, 4 marzo 1986
Il filosofo e gli altri: come collegarsi alla vita degli uomini

Remo Bodei si concentra sui rischi nei quali i filosofi-poeti da una parte e le masse dall’altra incorrono in epoche di crisi, con una apertura al contesto storico-teorico nel quale Hegel scrive e al quale dunque, implicitamente, fa riferimento. I filosofi rischiano la morte perenne nella rassegnazione e nella solitudine o, all’inverso, corrono il pericolo di essere trascinati dall’entusiasmo dove non vi siano le condizioni adatte per il mutamento. Insistendo sui concetti spinoziani di necessità e moltitudine, Hegel si scaglia contro il surrogato di godimento creato dal filosofo solitario nella propria immaginazione – il cui modello filosofico è Rousseau e quello poetico Goethe. L’uomo non deve stare a limiti positivi ormai inadeguati, ma diventare piuttosto scellerato o delinquente, ossia far crescere la nuova realtà politica attraverso una violazione delle vecchie leggi. Le moltitudini rischiano però, con violenza giacobina, di procedere inconsapevoli verso l’amorfo: al contrario la nuova legge, il codice, deve restituire una forma adeguata ai bisogni collettivi strutturali, la cui corretta ricezione è fondamentale. Emerge una terza figura umana: i grandi uomini. Desti tra chi dorme, questi capi politici hanno la capacità, data loro dall’istinto della ragione, di trasformare un ideale in realtà, e guidano quindi le moltitudini, dietro consiglio del filosofo-educatore (sul modello alessandrino, quindi), a realizzare le proprie ambizioni. Il filosofo traduce in immagine ciò che la moltitudine sente solo a livello inconsapevole, secondo il modello di una mitologia della ragione. La metafisica è infatti antidoto sia alla rassegnazione sia all’entusiasmo (definizione kantiana): non è un andare oltre l’esperienza, perché i sogni della vita etica nuova si possono realizzare, a patto di stabilire i limiti interni a ciò che si espande. In questo senso, la prospettiva hegeliana differisce non solo da quella kantiana, ma anche da quella di Fichte e di Schiller. Non si tratta infatti di cercare un equilibrio tra le facoltà umane individuali, ma di saldare le facoltà collettive separate per produrre una forma di cambiamento. Anche da un punto di vista individuale il singolo uomo, che appartenga alla moltitudine o alla minoranza dotta, trova il proprio godimento nella vita collettiva.

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