Terza lezione
Napoli, 23 novembre 2005
La struttura intersoggettiva della soggettività
Masullo prosegue nella presentazione del vocabolario husserliano a partire dai problemi posti dall’indagine fenomenologica del tempo, caso limite del senso. La prima difficoltà emerge dall’impossibilità di individuare il tempo in un oggetto o in un più semplice datum. Per questa ragione, il tempo è il caso limite dell’indagine fenomenologica: com’è possibile avere una nozione stabile di ciò che diciamo e sentiamo come inafferrabile? La nostra più semplice consapevolezza è che la nostra coscienza è nel tempo, ma il tempo è simultaneamente posto innanzi a me nella mia coscienza. È possibile a questo punto chiarire qual è l’ambito di indagine delle lezioni del 1905: coscienza interna del tempo significa coscienza che si rivolge al tempo come suo contenuto immanente. Masullo si sofferma sul problema dell’origine del tempo, dove origine va inteso nel senso della Ursprung, ossia di un originario che non è genetico. Per Husserl si tratta infatti di determinare le condizioni di pensabilità del tempo. Per questa stessa ragione, l’Erfahrung è logicamente seconda all’Erlebnis, semplice datum. All’interno dell’apparente semplicità di questo essere in presenza, la fenomenologia scopre una pluralità di condizioni di possibilità del suo darsi, nonché la necessità di mettere in dubbio l’atomicità del singolo apparire. Affinché possa darsi continuità tra le Erlebnisse, occorre che tra esse vi sia un legame intrinseco, in assenza del quale il passaggio dall’una all’altra avverrebbe solo in virtù di un deus ex machina. Nel tempo, Husserl individua quella funzione dell’apparire per cui la manifestazione viene garantita nella propria stabilità. Se, nonostante la sempre nuova irriconoscibilità dei singoli momenti, è possibile individuare una continuità, è perché ogni intenzione della coscienza è al contempo una ritenzione.
- Guglielmo Forni, Il mondo della vita e la scienza moderna nel pensiero di Husserl, 4 febbraio 1987
- Ferdinand Fellmann, Fenomenologia e filosofia della vita: Husserl e Dilthey, 2-5 febbraio 1987
- Ettore Lojacono, Descartes: la logica e il metodo. Problemi e ipotesi interpretative, 10-14 febbraio 1992
E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, a cura di A. Marini, FrancoAngeli, Milano 2011, pp. 47-49
§ 2. Il problema dell’origine del tempo
Dopo queste riflessioni, possiamo comprendere anche la differenza tra l’impostazione fenomenologica (che riguarda anche la teoria della conoscenza) e l’impostazione psicologica del problema dell’origine, rispetto a tutti i concetti costitutivi dell’esperienza e quindi anche al concetto del tempo. Il problema che la teoria della conoscenza si pone circa la possibilità dell’esperienza è quello dell’essenza dell’esperienza, e il chiarimento della sua possibilità fenomenologica richiede il ritorno ai dati fenomenologici, quelli di cui l’oggetto esperito fenomenologicamente consiste. Se nell’esperire introduciamo il contrasto tra «improprio» e «proprio» sì che l’esperienza propria, quella intuitiva e ultimamente adeguata, fornisca il metro di valutazione dell’esperienza, sarà necessaria in particolare una fenomenologia dell’esperienza «propria».
Parallelamente, anche il problema dell’essenza del tempo ci riporta indietro al problema dell’«origine» del tempo. Questo problema di origine è diretto però sulle configurazioni primitive della coscienza del tempo, nelle quali le differenze primitive del temporale si costituiscono in modo intuitivo e proprio come le fonti originarie di tutte le evidenze relative al tempo. Questo problema di origine non va confuso con la questione dell’origine psicologica, con la controversia tra empirismo e innatismo. Quest’ultima riguarda il materiale originario di sensazione da cui sorge, nell’individuo e persino nella specie umana, l’intuizione obbiettiva dello spazio e del tempo. Per noi la questione della genesi empirica è indifferente, ciò che ci interessa sono i vissuti, secondo il loro senso oggettuale e il loro importo descrittivo. L’appercezione psicologica, che apprende i vissuti come stati psichici di persone empiriche, di soggetti psicofisici; che constata tra essi interdipendenze puramente psichiche, sia psicofisiche, e indaga nella sua naturale legalità il divenire, il configurarsi e il trasformarsi dei vissuti psichici; questa appercezione psicologica è tutt’altra cosa da quella fenomenologica. I vissuti, noi non li disponiamo in nessun quadro reale. Con la realtà noi abbiamo a che fare soltanto, in quanto essa è realtà intesa, intuita, pensata concettualmente. Rispetto al problema del tempo, ciò significa: ciò che ci interessa sono i vissuti temporali. Che, a loro volta, essi siano determinati secondo il tempo obbiettivo, che facciano parte integrante del mondo delle cose e dei soggetti psichici e, in questa loro posizione, abbiano la loro efficacia, il loro essere empirico e la loro genesi, è cosa che non ci riguarda e di cui non sappiamo nulla. Ci interessa, invece, che in questi vissuti sono intesi dei dati «obbiettivamente temporali». Rientra nell’ambito della fenomenologia, proprio la descrizione che determinati atti intendono rispettivamente questo o quell’«obbiettivo»; più precisamente, il rilevamento delle verità aprioriche che appartengono ai diversi momenti costitutivi dell’obbiettività. Per quanto riguarda l’apriori del tempo, noi cerchiamo di metterlo in chiaro perlustrando la coscienza del tempo, mettendone in rilievo la costituzione essenziale ed estraendone gli eventuali contenuti apprensionali e caratteri d’atto riguardanti specificamente il tempo, cui le leggi apriori del tempo essenzialmente appartengono. Col che, naturalmente, mi riferisco a leggi di tipo ovvio, come queste: che l’ordine temporale stabile è una serie bidimensionale infinita, che il loro rapporto non è reversibile, che c’è transitività, che ogni tempo ha un prima e un poi, ecc.
Questo, come introduzione generale.