Sarebbe bello se avessimo uno spazio per comunicare il nostro stato d’animo nelle lunghe giornate che trascorriamo in isolamento forzato. Se trovassimo, addirittura, un amico immaginario, come nella canzone, L’anno che verrà, del 1979, di Lucio Dalla, che avesse voglia di scriverci. Direbbe, con ironia, «che si esce poco la sera, compreso quando è festa, e che si sta senza parlare per intere settimane», oppure, annuncerebbe le grandi trasformazioni sentite alla televisione «ogni cristo scenderà dalla croce e gli uccelli faranno ritorno». È difficile pensare con quali, diverse, parole il nostro amico lontano descriverebbe, oggi, l’anno che verrà.
Certo, nell’immediato avvertiamo il bisogno, questo sì, di parole semplici, come quelle della canzone, che vanno dritte al cuore, che addolciscono i sentimenti e calmano ansia e preoccupazione presenti in ognuno. Ma per l’anno che verrà, per restare al titolo della canzone, o meglio per il dopo che ci attende, di quali parole, profonde ed illuminanti, abbiamo bisogno? Avremo a disposizione spartito e musica sufficienti per affrontare le necessità, come quelle attuali, alle quali siamo tutti, in prima persona, chiamati a rispondere? Per ascoltare, ad esempio, le esortazioni del mondo scientifico, tanto autorevoli quanto non tenute in considerazione, e tradurre nel concreto agire il monito degli scienziati? Sapremo comprendere l’urgenza delle scelte indispensabili per la vita di ogni individuo e la conservazione delle specie viventi?
Il nostro Luca Parmitano, comandante per oltre 200 giorni della stazione spaziale in orbita intorno al pianeta, ha lanciato un preoccupante grido di allarme sullo stato di salute della Terra: «l’unica casa celeste di cui disponiamo», l’ha definita, ammonendoci «che l’universo è, sì, predisposto per la vita, che continuerà, ma non è detto che vi sia l’uomo».
Abbiamo, in questi giorni, ampia disponibilità di studi, analisi, ricerche sì da essere informati, oltre che della nostra salute, di quella della “casa celeste” che ci ospita. Gli articoli che leggiamo, o quel che apprendiamo da interviste ad uomini di scienza o di cultura, esprimono i diversi approcci (scientifico, economico, sociale, filosofico ecc.) dai quali prendono avvio i ragionamenti che si misurano con gli enormi problemi creati dall’infezione virale diffusasi nel mondo.
Potremmo, anche noi in piccolo, seguire l’esempio, mandando a memoria le parole che abbiamo letto o ascoltato ripetutamente quali: scienza, eguaglianza, economia, carità, diritto, fede, solidarietà, fiducia, merito, ricerca, ambiente, partecipazione ed altre ancora. Ma, ovviamente, un tale ordine sparso di parole non avrebbe senso. È necessario che esse, attraverso un processo di democratica condivisione, costituiscano il tessuto connettivo di un ordinamento mondiale. Che si bilancino, si adeguino di volta in volta alle diverse esigenze, avendo come orizzonte verso cui dirigersi, non il tornaconto di un singolo Stato, o gruppo di Stati, ma la soluzione dei problemi che, soprattutto, la scienza, attualmente, ci indica come indifferibili. Per rimanere nella metafora iniziale della musica dovremo essere capaci di comporre una sinfonia, e cioè, un insieme armonico di elementi nel loro perfetto combinarsi, con un eccellente direttore ed eccellenti professori di orchestra (l’uno e gli altri ineludibilmente legati tra loro). È questo il difficile compito che ci attende per l’anno che verrà: abbiamo spartito e musica. Dobbiamo arruolare i migliori, e più affidabili, tra direttori e professori d’orchestra.