Quando ho ricevuto il cortese invito di Fiorinda Li Vigni a partecipare al "Diario di una crisi" ho accettato con piacere la proposta di intervenire, subito consapevole del carattere eccezionale di questa esperienza diaristica. Essa, in tempi di pace, implica un momento di ritiro dal tempo del caos e del conflitto per la registrazione, in un altro tempo più personale e intimo, di pensieri e di sentimenti che, almeno in un primo e non breve momento, non comunicheremo ad altri all'infuori di noi, gelosi della tranquillità e autenticità conquistate almeno nella parola. Questo non accadrà perché questo diario è voluto come immediatamente pubblico, una sorta di reagente alla forzata ma necessaria distanza sociale di oggi quando il caos fuori di noi si è autosospeso. Prima di oggi c'era e poi ritornerà. E noi adesso in mezzo tra due infiniti cosa siamo?
A proposito di ciò confesso che da qualche mese per una mia programmazione degli studi da definire e ultimare non lavoro su Vico (ed è forse è un bene per questo grande classico del pensiero moderno!!) ma sono concentrato su altre due grandi voci dell'età della crisi e dell'inquietudine dell'uomo moderno: Montaigne e Pascal. E un celebre Pensiero di quest'ultimo mi ritorna in mente:
Che cos'è l'uomo? Un nulla in confronto con l’infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto. Infinitamente lontano dal comprendere gli estremi, il termine delle cose e il loro principio sono per lui invincibilmente nascosti in un segreto impenetrabile. Egli egualmente incapace di scorgere il nulla, da cui è tratto, e l’infinito in cui è inghiottito. Che farà dunque, se non percepire qualche apparenza di ciò che è mediano nelle cose, in una eterna disperazione di non conoscere il loro principio, né la loro fine?
Come si sa la soluzione pascaliana c'è a questa condizione e c'è solo nella misura in cui si riuscirà a fare propria radicalmente la consapevolezza del limite che non è solo conoscitivo ma limite fondamentale che ha radici nel deesse dell'esistenza.
Non credo nella retorica dei buoni sentimenti indotti da questa situazione né credo si possa imparare qualcosa. Certo una traccia resterà, una cicatrice che il tempo guarirà; dimenticheremo presto questi giorni di libertà inespressa e ritorneremo dominatori! Forse solo la testa, quella soprattutto di chi dovrebbe governare il presente e il nostro futuro, potrebbe aiutarci se non a cambiare almeno a calcolare costi e benefici di questa esistenza: converrà continuare a pensare e a vivere così? Potremo ancora credere in politiche che nulla hanno a che fare con la vita della polis e del suo ambiente? Con il nostro presente e l'anno che verrà?
Abbiamo analizzato tanto e continueremo a farlo un po' per mestiere (sic) ma adesso ci vogliono fatti per il futuro con coerenza e senza rumori e senza retorica. Diamo fiducia forza di vivere ai nostri figli e ai nostri più giovani amici, possono essere (dovrebbero essere loro) i protagonisti di una svolta; questa può imporsi non tanto per scelta ma per i fatti e le situazioni di grave allarme economico e sociale che il dopo coronavirus già annuncia.