Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Francesco Nappo - La Chiesa in cui nascemmo

A cura di Elenio Cicchini
2 aprile 2020

 

LA CHIESA IN CUI NASCEMMO


Alcuni presbiteri lombardi chiedono 

ai sanitari battezzati degli ospedali

agli altri inaccessibili

di ministrar segni d’estrema unzione

ai loro malati terminali

di polmonite epidemica.

Così nel Medioevo nel furor

delle guerre sempre ingiuste

il milite cristiano poteva 

con l’elsa cruciforme della spada

benedire i compagni moribondi,

come i nemici agonizzanti,

accostandola a labbra esangui, 

dicendo al fratello “Te absolvo”,

perché re, profeta e sacerdote

è per sempre l’infante al Giordano

battesimale del suo ingresso tra i vivi e

l’ora di morte quel crisma rinnova

che non ha parola che quella d’altrui.


È come se questa poesia di Francesco Nappo risalisse a contropelo – dai «presbiteri lombardi» al «milite cristiano», fino all’«infante al Giordano» – le forme e i sensi della scrittura: quelli che l’esegesi biblica distingue fra letterale, allegorico, e anagogico. 
Dalla notizia di cronaca – senso letterale – si risale verso l’allegoria storica: i sanitari che negli ospedali lombardi ministrano l’estrema unzione rinvengono nei militi benedicenti del Duecento il loro paradigma. 
E tuttavia, la memoria allegorica deve essere anch’essa superata in direzione della parola anagogica, e cioè della fonte di ogni memorabilità, allorché entrambe – notizia e storia, medico e milite, malato e nemico, – s’incontrano, e accommiatano, nella dizione latina Te absolvo.
«Dicendo al fratello “Te absolvo”». Colei che dice, invero, non è che la stessa parola poetica, idea di assoluzione: qualcosa che «per sempre» riporta l’estremo commiato all’«infante…battesimale». La parola esclamata nell’«ora di morte» risale a quella dell’«ingresso tra i vivi», ingresso nel linguaggio.

 

Francesco Nappo è nato a Napoli nel 1949. Ha pubblicato con Quodlibet Genere (1996), Requie materna (in Poesie 1979-2007), I passeri di fango (2018). È stato finalista del Premio Napoli. Hanno scritto sulla sua poesia Michele Ranchetti, Angiolo Bandinelli, Giorgio Agamben, Luca Lenzini, Emanuele Dattilo, Mario Pezzella, Alessandra Iadicicco, Stefano Crespi.




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