“Num custos fratris mei sum ego?” (Genesi 4, 9). Credevamo di no, in una società di individui autonomi non sembra esserci spazio per la custodia. La custodia parrebbe in situazioni normali una condizione circoscritta. E invece sì: dopo il Covid-19 stiamo chiusi in casa perché siamo chiamati a proteggere sì noi stessi, ma con noi stessi tutti gli altri, i destinatari di questa custodia sono i nostri più prossimi, ma alla fine tutti, siamo tutti custodi di tutti se l’obiettivo è quello di fronteggiare la pandemia.
La crucialità di questo risvolto dei nostri comportamenti è in alcune reazioni e messaggi che abbiamo attraversato soprattutto nelle prime fasi del contagio. Tutti ricordiamo le risposte ascoltate a fronte di comportamenti imprudenti quando ancora le nostre città erano aperte e “normali”: giovani che rispondevano che il male riguardava non loro, ma persone anziane e malate, risposta raggelante pensando ai successivi lutti; politici che invitavano a seguire dei comportamenti se non per sé, per tutelare i genitori e soprattutto i nonni. Da qui un esercizio apparentemente asimmetrico della custodia: l’invito a evitare comportamenti forse meno pericolosi per sé, ma certamente nocivi per altri. Invito, non norma: assumere atteggiamenti più prudenti non ha avuto sempre e dappertutto un carattere imperativo, come se la tutela della salute di tutti attraverso l’autolimitazione individuale si collocasse – ed era così nella forma dell’invito – in un’area grigia tra il diritto e il dovere. Senza precise norme non era nel proprio diritto andare ad uno stadio, fare jogging o tirar tardi in un pub? Ma l’asimmetria della custodia è facilmente rovesciabile: in realtà, per fare soltanto un esempio, basterebbe andare indietro con il pensiero al movimento ecologista che con Greta Thunberg in tutto il 2019 ha manifestato per chiedere misure stringenti contro il riscaldamento climatico per imbattersi in un’asimmetria contraria, di vecchi e maturi scialacquatori che non vogliono darsene per inteso di preoccuparsi dello stato del pianeta tra trenta o cinquant’anni. Ed anche in questo caso, al di là delle decisioni politiche, è questione di comportamenti individuali, di stili di vita, dai consumi alimentari alla scelta dei mezzi di trasporto.
Questa pandemia ci mette di fronte al fatto di essere con i nostri comportamenti custodi della salute di tutti, anche di quelli che non conosciamo o che non vedremo mai. E di essere custoditi dai comportamenti degli altri. Il lato passivo della custodia ci porta al versante più politico. Anche dove si è esitato a coartare i comportamenti individuali, il diritto fondamentale alla vita è emerso come preminente rispetto all’andamento dell’economia ed anche ai diritti di libertà individuali. E con esso è emersa la generale inadeguatezza dei sistemi di cura, al di là della straordinaria abnegazione del personale sanitario: le aziende sanitarie non bastano a garantire il diritto alla cura. C’è bisogno, subito, di una diversa politica per la salute. Il ritorno alla normalità implicherà una maggiore intrusione nella nostra vita privata: non è un lato piacevole della custodia l’essere monitorati per il superiore bene pubblico. Sappiamo che non c’è rete orizzontale di custodia che possa sostituire l’efficacia di questa funzione di controllo, anche se essa pure non potrà fare a meno della collaborazione di ognuno: saremo di nuovo chiamati ad un’azione per la salvaguardia della salute di altri alla ricerca di un equilibrio con i nostri diritti e nella necessità di avere chiare le condizioni delle rinunce che ci saranno richieste.
Infine, l’essere tutti custodi di tutti implica che anche quella che facilmente veniva considerata la parte periferica e marginale della vita sociale è ugualmente al centro: siamo tutti cittadini quando siamo sotto lo stesso cielo, la salute è un bene che riguarda chi almeno nominalmente ha diritti e chi li reclama o li vede negati, è significativo che un argomento forte per riconoscere forme di tutela a chi vive la condizione di richiedente asilo o clandestino sia la salvaguardia della salute sua e quindi di tutti. Lo stesso per quei luoghi di marginalità dell’assistenza agli anziani, uno dei capitoli più dolorosi e scandalosi di custodia mancata in troppi casi. Inaccettabile che porzioni di popolazione, persone con il loro carico di esperienze e di affetti, siano sacrificabili in quanto marginali, criminale e pericoloso il non aver tutelato luoghi di concentrazione della fragilità. La pandemia ci mette di fronte alla necessità dell’inclusività.
Si è detto e scritto a lungo che quella contemporanea non è una società per giovani, anche se ha coltivato il mito del giovanilismo. La tragedia che abbiamo vissuto chiarisce una volta di più che non è neppure una società per vecchi. Una società per chi, allora? In qualcuna delle fasi del ritorno ad una diversa normalità converrà chiederselo, collettivamente, almeno per cercare di gettare le basi di un diverso patto intergenerazionale, sociale, politico anche, e non restare chiusi in mura anguste anche quando torneremo liberamente all’aria aperta. Guardando a chi, in questi giorni, alla domanda “Num custos fratris mei sum ego?” ha risposto immediatamente, nel modo più estremo, e ha dato la risposta giusta.