Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Giovanni Peduto - Memoria del possibile – La lettera rubata*

29 luglio 2020

 

Siamo dinanzi ad un evento storico di una portata di difficile delimitazione. L’attuale corsa mediatica – a tratti affannosa e impacciata – al “lavoro del lutto”, per lasciarsi alle spalle un evento che ha mietuto migliaia e migliaia di vittime non può che suggerirmi che ci sia qualcosa che resiste ad ogni elaborazione, il tentativo di nascondere qualcosa che l’evento ha reso evidente ed ha posto sotto gli occhi di tutti. Mi viene in mente la lettera rubata di Edgar Allan Poe: una lettera che contiene qualcosa di scandaloso, anche se nessuno sa cosa sia, e che rimane protagonista di un racconto, senza mai svelare il suo contenuto, passando di intrigo in intrigo e di mano in mano. C’è una lettera, una lettera rubata – credo. Ma cosa avrebbe da dire questa lettera che si vuole occultare?

Sembra palese: la storia ha fatto irruzione nelle nostre vite. Questo evento tuttavia non ha per nulla i caratteri della chiarezza e della distinzione; si tratta di un’evidenza che non mostra, bensì interroga. Un’epifania, un evento improvviso, che come tale scompagina, irrompe e disloca in modo del tutto incalcolato ed incalcolabile. Un evento che ha del messianico. 

Si tratta di un evento storico alla stregua di quello che vide Hegel, in Napoleone trionfante a cavallo, a Jena, durante la stesura della sua Fenomenologia? Siamo di fronte a un Soggetto con la S maiuscola, rappresentante di un’autocoscienza che si fa storia? Non sembrerebbe. Appare dunque lecita la domanda su che storia abbia fatto irruzione nelle nostre vite. Più che con un Soggetto autocosciente abbiamo a che fare con un soggetto, sommessamente in s minuscola, quale non può che essere una piccolissima molecola di RNA, che invoca un’autocoscienza assente, una presa di coscienza di un’altra storia. Sembra necessario, piuttosto che interrogare l’evento a partire da un’ontologia, interrogare forse l’ontologia a partire dall’evento.

La s minuscola non deve in alcun modo ingannare. Il soggetto in questione ha fermato il mondo probabilmente in modo peggiore di quanto abbiano fatto le Grandi Guerre. Il prezzo del petrolio è sceso sotto lo zero ed il traffico aereo si è pressoché azzerato. Tuttavia, questo soggetto non sembra rispondere in alcun modo alle caratteristiche delle cose che tradizionalmente hanno «fatto la storia»: la lotta di classe, le grandi imprese, le grandi innovazioni tecnologiche ed i progressi scientifici, per fare qualche esempio. In tutti questi casi è l’uomo che modifica l’ambiente, ossia è l’ambiente umano a modificare ed assoggettare l’ambiente non-umano. La direzione è univoca. Tutto ciò è stato messo in discussione dalla pandemia: se c’è una lezione che essa ci ha impartito è che l’ambiente non-umano ha una sua consistenza, che può retroagire ed essere letale. Si tenga fermo questo punto, su cui si tornerà a breve.

Insisto sulla storia, indugio sull’epifania. Questo scacco, questa incomprensione, questo spaesamento non mi sembrano assimilabili ad una semplice mancanza di strumenti concettuali adeguati. Il trauma è infatti più profondo: se ne può avere qualche indizio meditando su ciò che ha indotto il mondo a fermarsi. La cosa è sottile, ma – io credo – di fondamentale importanza: non è stato il virus in sé a fermare il mondo, ma la possibilità che il mondo non fosse in grado di dominare il virus. Il virus dell’influenza miete vittime ogni anno, ma per esso non si fermano tutte le attività economiche e sociali, esso è considerato dominabile. In altre parole, quello che il mondo ha esperito è la possibilità di un negativo non ri-appropriabile entro le proprie pratiche di vita, entro, si può dire, il proprio corso storico: un problema non risolubile date le condizioni di partenza. Un negativo assoluto, una negatività, per dirla con il Derrida de Dall’economia ristretta all’economia generale. Un hegelismo senza riserve, del senza-fondo e del dispendio assoluto2. Un negativo, insomma, dinanzi a cui la stessa azione storica dell’essere umano è stata posta sotto scacco e che, dunque, per converso, ha rivelato l’intrinseca fragilità della sua presenza. È dunque la possibilità di una negatività non-riappropriabile a spiegare l’incapacità di trovare un atteggiamento intellettuale ed etico consono ad esso: ad essere messo in questione è lo stesso atteggiamento umano del prendere posizioni, agire, pensare, voler totalizzare il momento in un’ontologia od in un’azione che sia in grado di “aggiustare le cose. 

Nicola Chiaromonte, scrivendo sessant’anni fa su Tempo Presente, aveva dedicato un articolo, Apocalissi e ragion di Stato, alle considerazioni di Oppenheimer circa la bomba atomica3. Oppenheimer affermava che con la bomba atomica c’era (e c’è ancora) la reale possibilità di un venir meno dell’umanità stessa, la reale possibilità di un negativo assoluto. Dopo queste considerazioni, Chiaromonte chiudeva l’articolo lamentando la mancanza di una «specie di filosofi che ancora non esiste»4. Si trattava, infatti, non di «dimostrare» la bomba, ossia, non di capire razionalmente la storicità della bomba, perché proprio la storicità stessa è posta sotto scacco da essa. Dinanzi alla possibilità di un negativo radicale, ci si chiede ora timidamente, che fine fa la dialettica? Che fine fa il senso storico che le civiltà umane danno al mondo? Mi sembra una domanda che l’epifania dell’epidemia ci ponga seriamente. Il mondo pare aver risposto: «cercando di evitarla fermando tutto».

Aggiungo che sarebbe incorretto affermare che questo negativo non abbia alcun positivo. C’è una doppia logica paradossale in questo evento: il mondo si è fermato per un’impossibilità, vale a dire, l’impossibilità di sostenere i danni del virus all’interno di precise condizioni culturali; tuttavia, per proteggere questo stesso mondo, lo si è di fatto fermato. Ciò ha però reso esperibile un positivo: la possibilità che il mondo sia altrimenti, la possibilità che esso possa fermarsi e ristrutturarsi in modo alternativo. Al cuore dell’esperienza dell’impossibile c’è il positivo di un possibile, il pensiero potenziale di una comunità alternativa, il pensiero che le cose possano essere altrimenti che così, proprio nel mentre si imponevano l’isolamento e le distanze obbligatorie. Il mondo umano, per salvarsi, ha già pagato un prezzo: ha esperito la sua contingenza. Forse questa è la sua eredità più grande, la sua lettera rubata.

Su questa lettera, forse, è scritto anche che l’ambiente non-umano presenta prima o poi il suo conto, che la Storia con la S maiuscola, fatta dagli uomini ad appannaggio esclusivo di altri uomini, deve confrontarsi, anche se l’aveva dimenticato, con una storia umile, appena in s minuscola, dello spazio in cui viviamo e degli abitatori con cui dividiamo questo pezzo di universo. Su questa lettera rubata, in altri termini, vedo scritta la necessità di una storia “ecologica”. 

 

1*Il testo è stato scritto nel contesto di un laboratorio dal titolo La memoria del possibile. Per una narrazione condivisa, realizzato a cura di Enrico Donaggio (Università di Torino, Università di Marsiglia) in forma telematica nel periodo del lockdown, fra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2020.

 2Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 2002, pp. 325-358.
 3Cfr. N. Chiaromonte, Apocalissi e Ragion di Stato, in «Tempo Presente», 5 (1958), pp. 417-419.
 4Ivi, p. 419.

 

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