Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Monica Ferrando - Se questa è una scienza

2 agosto 2021

Se questa è una scienza

La scienza, come osserva il prof. Illetterati al termine di un articolo riferito al testo che Agamben e Cacciari hanno da poco pubblicato su Diario della crisi dell’IISF, e qui prontamente ripreso «è il luogo nel quale i dati sono discussi, pensati, criticati e non hanno certo quel valore autoritativo che i due raffinati pensatori invece vi attribuiscono». Bene. È proprio questo il punto. La scienza occidentale muove dalla scienza greca dove, come avverte Simone Weil, «la dimostrazione viene per prima», come dire che è guidata dall’esigenza della verità, non dagli effetti tecnici che un impiego parziale di essa può produrre a beneficio di qualcuno o qualcosa. Per la scienza medica, che muove da Ippocrate e si orienta sul suo giuramento, questo retaggio è ancora più evidente.

È noto che la scienza (moderna) si è sempre regolata sul dubbio (metodico) ed è sempre proceduta per ipotesi e verifica sperimentale: prima di attribuire certezza al frutto di una ricerca ha preteso di esercitare, a differenza di altre sfere del pensiero, la facoltà di saggiarne la tenuta, invocando quella facoltà dell’umano a torto ritenuta, entro particolari coordinate storiche, impraticabile perché pericolosa e non ideologicamente controllabile: l’esperienza. È stato questo atteggiamento a renderla, a un certo punto della storia dell’Occidente, a partire da Leonardo, più convincente e, entro quei limiti che la scienza stessa si è imposta, addirittura superiore.

È proprio in nome di questa idea di scienza, inseparabile da quel dubbio che costituisce la sua unica e vera forza, che riteniamo non solo lecito ma doveroso dubitare di soluzioni medico-sanitarie non esaurienti sul piano della certezza scientifica, di cui la statistica è certamente una componente importante, ma non certo l’unica.

Non ci si può allora stupire se ci pare, di conseguenza, più logico attendere uno studio della malattia (il Covid 19 varianti comprese) circostanziato e scientificamente attendibile sotto tutti i riguardi; studio dove le posizioni di tutti i ricercatori possano alla fine convergere entro un quadro razionale in grado di tacitare definitivamente controversie generate da interessi estranei alla conoscenza e alla scienza medica nel suo complesso.

Ancora increduli dinnanzi all’irresponsabile negazione di ogni pluralismo di opinione e all’indifferenza con cui si subisce la morte civile in nome della nuda vita, ci vediamo richiedere da qualcosa che si spaccia per scienza una fede cieca e irrazionale degna del più ottuso oscurantismo. Si tratta evidentemente di un’operazione vòlta a sradicare la natura umana dal suo proprio luogo – il pensiero e il linguaggio – per trasferirla là dove non sarà più tale, resa disponibile a una manipolazione eterodiretta che della scienza, quella che non ha tradito le sue radici ippocratiche, non ha che la sempre più labile maschera.

Rivendicare l’assoluta correttezza del procedere scientifico genuino, rispettoso dei limiti disciplinari che ne garantiscono verifica, controllo, serietà e rigore sarà allora l’unico modo di proteggere le giovani generazioni, prive al momento di voce in capitolo, ma le prime a essere esposte, in prospettiva, a rischi gravissimi e potenzialmente irreversibili a causa di profilassi sperimentali, gravemente irrispettose delle prerogative della persona.

Tale pare ora il nostro urgente dovere: etico, cognitivo, politico, umano; prima che sia troppo tardi.

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