Lo sdegno di Agamben e il silenzio degli intellettuali
Dagli inizi della pandemia, nel febbraio 2020, Giorgio Agamben non ha smesso di indicare dietro le decisioni governative una tendenza politica che va al di là delle circostanze sanitarie. La sua tesi è nota e proviene in parte dall’insegnamento di Michel Foucault: nella nostra epoca – iniziata circa tre secoli fa – il potere si rapporta alla popolazione come il ricercatore a una coltura di batteri. Per esso la vita biologica dei governati è oggetto di studio e pianificazione, di protezione, contenimento ed eventualmente (come avvenne nella Germania nazista) di sterminio se ritenuta dannosa. A partire dall’età moderna – in concomitanza con la nascita della scienza, della democrazia e dell’economia politica – il potere si è inoltre insediato nelle coscienze, che manipola e guida aspirando a governare sistemicamente uomini e cose come appartenenti a una totalità. La pandemia da Sars-2 ha avuto conseguenze politiche spropositate rispetto alla sua reale portata sanitaria proprio perché si situa all’incrocio delle due tendenze politiche centrali del nostro tempo: gestione della vita biologica della popolazione, governo sistemico e controllo dei governati. Lo stato d’emergenza, la sospensione delle garanzie costituzionali, le misure restrittive e le pratiche di sorveglianza nei mesi del “lockdown” (ora potenziate, generalizzate e normalizzate con l’introduzione del Green Pass) sono il risultato di decisioni politiche che nel contesto e nell’occasione della pandemia approfondiscono le due tendenze del potere; se il terrore diffuso dai media è stato strumentale rispetto alla convocazione dello stato di emergenza, la sproporzione delle misure rispetto all’effettivo pericolo è il segno del loro riferirsi a qualcos’altro.
Dal momento che le posizioni di Agamben sono state spesso banalizzate come casi di ingenua “teoria del complotto”, e poiché questa banalizzazione rischia di far apparire assurda una delle filosofie più rilevanti del secolo scorso e del presente, vale la pena di soffermarsi brevemente sul senso che Foucault dava alle proprie riflessioni sul potere. Uno dei grandi insegnamenti di Foucault è che il potere non è in primo luogo una strategia dei governanti: le strategie sono secondarie, sono intenzionali e si danno all’interno del modo in cui il potere, in ciascuna epoca, si irradia ugualmente su governanti e governati. L’ape regina non è responsabile dell’organizzazione dell’alveare. Che la vita biologica della popolazione sia diventata per il potere un ambito di intervento è per Foucault un avvenimento, decisivo nella storia occidentale e contemporaneo alla rivoluzione scientifico-illuminista, alla nascita del capitalismo e della democrazia. È questo che intendeva quando nella Volontà di sapere scrisse che bisogna imparare a fare la storia senza il re, che il potere è ovunque, che il potere non si possiede ma si esercita. Foucault indagò il “potere del tempo” nello stesso senso in cui si potrebbe parlare dello “spirito del tempo”; una simile visione venne proposta da Tolstoj in Guerra e pace. Questa diversa prospettiva sul potere, che potremmo chiamare ontologica (il potere è davvero, si irradia anche se non si vede), ha il doppio vantaggio di non limitarne l’analisi alle intenzioni strategiche di chi lo esercita (vere o presunte) e di negare alle dichiarazioni dei governanti (per avvalorarle o contestarle) ogni preminenza teorica. Nel pensiero di Foucault il soggetto non è sovrano, la ragione non è sovrana: né lo sono il sapere e lo Stato.
Le posizioni di Foucault – e per conseguenza oggi quelle di Agamben – non hanno smesso di insospettire nel corso dei decenni la sinistra illuminista e il pensiero democratico-liberale (neoliberale, come lo si definisce oggi). Da un lato perché rinunciano al materialismo storico, secondo cui i cambiamenti sociali sono dovuti a interessi economici che ispirano in modo diretto le azioni dei governi nel quadro della lotta tra sfruttatori e sfruttati: in epoca biopolitica la lotta di classe ha luogo – se ha luogo – nell’ambito di un comune quadro di riferimento biologico prima che economico. Dall’altro perché rifiutano risolutamente la centralità del soggetto, così importante per le due tradizioni – parzialmente antagoniste – del liberalismo democratico e dello statalismo progressista. La sinistra illuminista trova inoltre inaccettabile l’idea che la società capitalista, per definizione ingiusta, sia nata insieme alla democrazia e resti legata ad essa da una profonda inerenza reciproca: nella prospettiva di Foucault – che come Aristotele non aveva la fede politico-messianica caratteristica dell’età moderna – la democrazia è una possibile configurazione del potere e in quanto tale non è né buona né cattiva.
A partire da tutto questo (e seguendo ulteriori percorsi che qui sarebbe troppo lungo ricostruire) Agamben ha ripetutamente indicato – con sdegno crescente mano a mano che nel corso dei mesi le sue osservazioni cadevano nel vuoto – che nella democrazia biopolitica e razionalista, mediatica e capitalista, mite con l’individuo perché interessata alle popolazioni (cui sa mostrare tutta la sua severità), governanti e governati hanno prodotto un sapere sul virus – hanno interpretato il virus – in conformità al biopotere e al governo sistemico. Se di queste tendenze del potere il governo è l’agente storico, la popolazione – oggetto dell’intervento – ne applaude l’operato. Quel che Foucault chiamava il potere-sapere (nel senso che l’avvento storico di una forma di potere comporta la nascita di un sapere correlativo, anch’esso ubiquo e senza re: per noi biologia, demografia, statistica ed economia) si è generato in alto ed è stato riprodotto in basso dai mezzi di trasmissione di massa. Per questo, nella pur grande incertezza in cui si trova la ricerca virologica, governanti e governati hanno prediletto costantemente nel corso dei mesi cronache, statistiche e immagini alla luce delle quali i provvedimenti di ordine biopolitico apparivano assennati, se non ovvi. A interessare, nell’epoca del biopotere, è la cura – eventualmente autoritaria – del corpo della popolazione (se «popolo» era un concetto politico, «popolazione» è il suo corrispettivo biologico).
La fede illuminista nella democrazia e nella scienza come strumenti della liberazione dell’uomo dalle “catene dell’oppressione” ha suscitato verso Agamben, nel corso dei mesi, l’indifferenza, l’incredulità, la censura, il dileggio e in alcuni casi un volgare turpiloquio; è stato accusato di essere un tanatofilo, un aristocratico, un complottista sospetto di simpatie naziste. Agamben, dal canto suo, ha addebitato ai governanti e ai governati – in senso politico ma anche morale, e dunque con sdegno crescente che ha estraniato e indispettito i destinatari delle sue riflessioni – quanto avveniva e sta ancora avvenendo. Ha sempre parlato alla terza persona plurale: sottacciono l’effettivo tasso di mortalità, terrorizzano la popolazione, senza riflettere che la trasformazione in atto è la conferma delle tesi di Foucault (nonché delle sue) sul biopotere: biopotere e governo totale agiscono i governati quanto i governanti. È dunque probabile che il suo sdegno fosse rivolto alla classe degli intellettuali, responsabile di avere ascoltato troppo docilmente la propaganda del governo, di essersi unita al coro e di avere chiuso gli occhi di fronte all’evidenza di un apparato di controllo che, divenuto capillare sotto i nostri occhi nel corso degli ultimi due decenni – telecamere, droni, raccolta generalizzata delle impronte digitali, raccolta ed elaborazione di attività private svolte online – viene ora accresciuto dal Green Pass che tramite il codice QR permette la raccolta e l’elaborazione dei movimenti fisici di tutta la cittadinanza.
Pochi giorni fa ad Agamben si è aggiunto Massimo Cacciari con un appello a doppia firma pubblicato sul sito internet dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Il breve testo dice che l’introduzione del Green Pass rappresenta un grave rischio per la vita democratica, perché negando alcune garanzie costituzionali a chi non lo possiede crea – per legge – una cittadinanza di serie B; denuncia gli aspetti totalitari di una pratica di governo che aspira a tracciare i movimenti di tutti; ricorda che la ricerca scientifica è discorde in merito ai vaccini e invita la coscienza democratica a reagire. L’intervento di Massimo Cacciari – in Italia più conosciuto di Agamben per il suo impegno politico a sinistra, per essere stato sindaco di Venezia e per essere un volto noto a chi guarda la televisione – ha richiamato l’attenzione dei media sulla posizione finora solitaria e ignorata di Agamben. Si sta parlando e scrivendo, nasce un dibattito o un principio di dibattito. Se però Foucault aveva ragione, se democrazia neoliberale e sinistra illuminista sono segretamente solidali perché condividono imperativo biopolitico, assolutismo scientifico e regime di verità (in questo caso il compito di confessare ciò che si è: in passato davanti al prete come davanti al Partito, oggi esibendo il risultato del test antigenico) il loro appello contro la discriminazione – contro la presunzione di inadeguatezza e inferiorità sanitaria – non verrà raccolto dagli intellettuali né dai giornali, che già banalizzano parlando di «toni oracolari» dei due filosofi e di «bomba» lanciata sul Green Pass. Arriverà distorto ai lettori e non verrà ascoltato dal Parlamento.