Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Gabriele De Angelis - I vaccini e le discriminazioni di Stato. Agamben, Cacciari e il Green Pass

5 agosto 2021

Gabriele De Angelis (Universidade Nova de Lisboa)

I vaccini e le discriminazioni di Stato. Agamben, Cacciari e il Green Pass

 

In un recente e già molto dibattuto documento pubblicato sul Diario della crisi dell'IISF, Agamben e Cacciari lamentano la discriminazione tra cittadini di serie A (i vaccinati) e quelli di serie B (i non vaccinati) che un “regime dispotico” ci vorrebbe imporre tramite il Green Pass, equiparato, nientemeno, ai passaporti interni dell’Unione Sovietica.

Al di là dell’uso piuttosto fuorviante di numeri e statistiche da parte dei due filosofi, già sottolineato, ancora sul Diario, da Luca Illetterati, la discriminazione è “una questione seria”. Per districare la matassa, proviamo a fare un passo indietro.

A cosa serve il vaccino? A fare tre cose: proteggere i più deboli (anziani, persone con malattie pregresse, etc.), consentire l’apertura delle attività economiche e, infine, prevenire, per quanto possibile, che una troppo estesa circolazione del virus porti a nuove varianti. I tre obiettivi sono raggiungibili solo se si vaccina un numero sufficientemente grande di persone: idealmente, tutte quelle che lo possono fare, escludendo solo quelle che, per eventuali motivi medici, non possano accedere al vaccino.

Come tutte le attività volte a proteggere un bene pubblico (la salute, le attività economiche…), la vaccinazione pone un chiaro problema di azione collettiva: ciascuno di noi è chiamato a contribuirvi, ma potrebbe beneficiare del risultato pur non vaccinandosi (a condizione che gli altri lo facciano). Per esempio, se vogliamo evitare il rischio (comunque molto piccolo) di effetti avversi del vaccino (o per semplice pigrizia, noncuranza, menefreghismo), potremmo pensare bene di sottrarci e di godere del frutto del “sacrificio” altrui senza rischio per noi stessi.

Ciò è tanto più vero, in quanto il rischio di contrarre il Covid soffrendone le conseguenze gravi o mortali non è ugualmente ripartito fra tutti noi. Se siamo sufficientemente giovani e in salute, l’incentivo personale a vaccinarsi sarà scarso, anche se vaccinandoci potremo salvare vite di persone a rischio. Il vaccino resta, beninteso, un dovere di solidarietà (o di responsabilità) verso altri. Ma cosa succede quando né il dovere né l’interesse spingono le persone a vaccinarsi?

È lì che interviene lo Stato. Lo Stato, col suo potere coercitivo, è ciò che le società umane hanno inventato per risolvere problemi di azione collettiva come questo. Avendo a che fare con filosofi, possiamo persino scomodare Kant, per il quale il problema della fondazione di uno Stato può essere risolto anche da un popolo di diavoli — i diavoli che siamo noi, egoisti razionali: faremo delle leggi tali che ciascuno, in pubblico, sia indotto a rispettare, nonostante nel suo intimo sia tentato di sottrarsene. Così come lo Stato ci impone di pagare le tasse, di mandare i figli a scuola, di assicurare l’auto e di vaccinarci (possiamo averlo dimenticato, ma in Italia ci sono sei vaccini obbligatori per i bambini), allo stesso modo dovrà assicurarsi che la campagna vaccinale sia effettiva ed efficace.

A questo serve il Green Pass: a “discriminare” chi collabora da chi non collabora a produrre un bene che tutti vogliamo, ma al quale non tutti vogliamo contribuire. Serve a “discriminare” chi, in cambio di un piccolo costo per se stesso, risparmia ad altri un rischio di morte o di malattia grave, da chi invece questo piccolo costo non se lo vuole proprio accollare, costi quel che costi ad altri (e a proposito di questo “costo” che il vaccino rappresenta per noi stessi, ricordiamoci sempre che bere, fumare, guidare la macchina o prendere un aereo implica rischi ben maggiori, e non per questo vi rinunziamo).

Eppure, su questo benedetto Green Pass una cosa da dire c’è, ed è casomai questa: se il potere è la capacità di ottenere obbedienza a un ordine, lo Stato (almeno quello italiano) questo potere non ce l’ha. Si riduce invece a blandirci con la promessa di cene al ristorante e concerti all’aperto, quattro salti in discoteca e una cena con tutti gli amici che vogliamo — incentivi evidentemente ben più forti che non i 130.000 morti per Covid in un anno, i 500 morti al giorno di poche settimane fa, o la morte di quelli che si sono visti cancellare chirurgie vitali perché le terapie intensive erano tragicamente piene. Otterremo il massimo del risultato se potessimo proibire ai non vaccinati di comprare su Amazon o di scaricare videogiochi!

Altro che i moniti dei filosofi contro il “fascismo” o il “dispotismo” sanitario. La conseguenza di uno Stato che non può più comandare è l’infantilizzazione del cittadino, un’infantilizzazione, duole dirlo, di cui le polemiche recenti sono uno specchio fedele: di fronte al Green Pass ci trasformiamo all’improvviso in bambini che vogliono vedere la TV senza aver mangiato la minestra, e hanno imparato a chiamar questo un diritto.

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