Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Ilaria Durigon - È la fiducia che manca

2 settembre 2021

 

È la fiducia che manca

di Ilaria Durigon

 

«Ma è deplorevole che l'intelligenza politica dell'uomo sia 100 volte meno sviluppata della sua intelligenza scientifica». Marguerite Duras, Hiroshima mon amour

 

Nel suo intervento lucido e appassionato, Monica Ferrando ci ricorda quale sia lo statuto della scienza e quali ne siano i presupposti metodologici: il dubbio, le ipotesi, la ricerca, le prove, ossia il processo di continuo confronto e verificazione che soltanto alla fine conduce alla certezza scientifica. Mi riallaccio al suo ragionamento per rilanciare un'ulteriore questione che riguarda ciò che nella scienza eccede il discorso sui principi formali e che la interroga in quanto ambito iscritto nelle attività umane.

Ogniqualvolta si interpelli la scienza non può essere dimenticata (o oscurata) la lezione del Novecento: l'ambito tecnico-scientifico non è neutrale ed anzi, più di tutti gli altri, è stato oggetto nell'ultimo secolo di una crescente e sempre più intensa politicizzazione che lo investe in alcune fasi decisive: la formulazione delle ipotesi, l'ordine delle priorità, le conseguenze prodotte, e che deriva in parte, anche se non esclusivamente, dal fatto che le ricerche dipendono dai finanziamenti economici che le sostengono. È all'interno di questa situazione e delle sue dinamiche che la crisi pandemica è esplosa.

Non solo quindi sulla adeguatezza metodologica andrebbe posta una questione ma anche su ciò che la “eccede” e che tocca l'ambito politico.

Una conferma della commistione dell'ambito scientifico con quello politico  ci è stata data in questi mesi in tutte le occasioni in cui uno scienziato è stato interpellato rilasciando dichiarazioni spesso contraddittorie sul piano dei dati scientifici perché appunto mai "definitivi" ma sempre coerenti sul piano delle azioni politiche, sulle misure da compiersi per far fronte alla situazione pandemica e la cui portata è andata ben al di là delle ragioni sanitarie, basti pensare al coprifuoco, o al Green Pass, oppure alle mascherine all'esterno. Non sono queste misure “politiche” a cui la maggioranza degli scienziati ha dato pubblicamente il pieno sostegno?

Con questo non voglio dire che l'eccedenza politica della scienza si esaurisca nell'operare pubblico del singolo scienziato. Va infatti precisato un ulteriore aspetto di questa politicizzazione ossia che essa dipende interamente dal contesto comunitario in cui opera la scienza, il suo esercizio all'interno di una comunità. È a questa che va posta la “domanda politica”.

Sono passati sessant'anni da quando Hannah Arendt poneva a chiare lettere la questione della crisi della politica nei termini di una eclissi della capacità di agire politico e, contemporaneamente, osservava che questa possibilità era riservata ormai soltanto agli scienziati. La riporto qui per intero:
«La capacità di agire, almeno nel senso della liberazione dai processi, è ancora con noi, sebbene sia diventata la prerogativa esclusiva degli scienziati, che hanno allargato il dominio della presenza umana al punto di estinguere l'antica barriera protettiva tra la natura e il mondo umano. […] Non è certamente senza ironia il fatto che proprio quelli che l'opinione pubblica ha sempre ritenuto i meno pratici e i meno politici dei membri della società siano rimasti gli unici a sapere come agire di concerto. Infatti le loro prime organizzazioni che essi fondarono nel XVII secolo per la conquista della natura e nelle quali elaborarono i loro criteri morali e il loro codice d'onore, non solo sono sopravvissute a tutte le vicissitudini dell'età moderna, ma sono diventati uno dei più potenti gruppi generatori di potenza di tutta la storia».

La crisi della democrazia chiama in causa la scienza e interpella  gli scienziati e il loro ruolo nel mondo, la loro capacità di agire politicamente su cui ci deve essere chiarezza.

Vorrei aggiungere un'ultima riflessione riallacciandomi alla questione della sorveglianza posta da Giorgio Agamben e Msssimo Cacciari.

Parlando degli sviluppi del capitalismo della sorveglianza, Shoshana Zuboff rileva come nei suoi processi interni, grazie alla meccanizzazione, esso offra agli umani la garanzia della certezza a scapito della fiducia. Mi domando allora, tornando a Ferrando, ciò di cui abbiamo più bisogno in questo momento, è la certezza o la fiducia? E la fiducia non nasce proprio dalla trasparenza?

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