Archivio delle attività

Tutte le iniziative, ove non altrimenti specificato, si svolgono nella sede dell'Istituto e sono aperte al pubblico.

Napoli, 11 marzo 1980

 

Attraverso un’analisi sistematica del Teeteto platonico, Gadamer si propone di interrogare il luogo della dialettica nella prospettiva della matematica. Concentrandosi sulle figure dei dialoganti – i matematici Teeteto e Teodoro – la questione che guida il seminario è: perché spetta proprio ai matematici discutere dell’essenza del sapere? Come situare la matematica in rapporto al principio relativistico di Protagora?
Teeteto definisce la conoscenza come aisthēsis – non, come si è soliti comprendere, mera “percezione”, bensì «schietta evidenza»: essa consente a Platone di delimitare il campo rispetto al convenzionalismo protagoreo. Se per Protagora la verità è riconducibile a un atto pragmatico e convenzionale (pari all’istituzione di leggi positive in campo giuridico), la verità dei matematici come aisthēsis ascende a una sfera più profonda, quella dell’accordo interno dell’anima con se stessa (anamnēsis).
È in virtù dell’analogia fra numero e lettera che la conoscenza, intesa come “opinione vera”, può essere situata nella sfera della matematica. Così come la parola intesa quale “tutto” non è la mera somma di lettere e suoni, allo stesso modo ogni unità numerica è altro rispetto al mero ammontare di numeri. Così, se per poter scrivere non basta conoscere le singole lettere, ma occorre anzitutto sapere come si scrivono le parole, per poter contare non basta enumerare i singoli numeri. L’opinione vera dev’essere dunque accompagnata da un qualche logos. Si tratta, innanzitutto, del saper distinguere fra i vari elementi che compongono l’unità nella molteplicità. Il logos è, cioè, la comprensione dell’eidos e del genos: ciò che a un tempo distingue e accomuna. Il sapere autentico si scopre, infine, il sapere della dialettica.
In conclusione, Gadamer accenna alla ripresa della dialettica platonica in Hegel e alla distinzione fra metodo matematico e concetto nella filosofia speculativa.

   

  • Gabriele Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, Bibliopolis, Napoli 2005
  • Giovanni Casertano (a cura di), Il Protagora di Platone: struttura e problematiche, 2 voll., Loffredo, Napoli 2004
    Contributi di A. Brancacci, L. Brisson, G. Casertano, B. Centrone, G. Cerri, N.-L. Cordero, M. Di Pasquale Barbanti, M. Dixsaut, A. Fedele, F. Ferrari, M. d. G. Gomes de Pina, W. Leszl, M. Meoli, M. Migliori, C. Natali, S. Nonvel Pieri, D. O’Brien, L. Palumbo, G. Reale, A. Riccardo, F. Romano, L. Rossetti, S. Rotondaro, C. J. Rowe, L. Ruggiu, E. Spinelli, D. P. Taormina, C.W. Taylor, F. Trabattoni, J. G. Trindade Santos, M. Vegetti, M. Wesoly.
  • Manfred Riedel (a cura di), Hegel und die antike Dialektik, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1990*
    Contributi di P. Aubenque, M. Baum, E. Berti, H. Boeder, R. Bubner, H. Buchner, K. Düsing, A. Gargano, K. Held, R. W. Meyer, O. Pöggeler, M. Riedel, S. Rosen, G. Schmidt, N. Waszek. * Volume dedicato a Hans-Georg Gadamer per il novantesimo compleanno.
  • Francesco Fronterotta, Walter Leszl, Eidos-Idea. Platone, Aristotele e la tradizione platonica, Academia Verlag, Sankt Augustin 2005
    Contributi di M. Baltes, L. Brisson, B. Centrone, C. Cerami, F. Ferrari, F. Fronterotta, M. Isnardi Parente, M.-L. Lakmann, W. Leszl, A. Linguiti, M. Mariani, D. O’Brien, J.-F. Pradeau, G. Sillitti.
  • Georg W. F. Hegel, Lezioni su Platone (1825-1826), tr. di G. Orsi, Guerini e Associati, Milano 1995
  • Alberto Burgio, Dialettica. Tradizioni, problemi, sviluppi, Quodlibet, Macerata 2007
    Contributi di A. Burgio, G. Cambiano, F. Cerrato, F. Cimatti, C. De Pascale, R. Fineschi, F. Frosini, G. C. Garfagnini, F. Mignini, G. Oldrini, S. Rodeschini, N. Tertulian, A. Tosel, F. Vidoni.

 

Brano tratto dalla lezione di Hans-Georg Gadamer "Il Teeteto come introduzione alla dialettica platonica"
Napoli, 15 marzo 1980
Le principe d’anarchie. Heidegger et la question de l’agir

 

Αἴσθησις come “schietta evidenza”

Che senso può avere il fatto che un matematico definisca il sapere come “percezione sensibile”? A questa domanda c’è una risposta semplice, ma che non è mai stata ancora presa veramente sul serio, e cioè che la parola greca αἴσθησις non significa affatto “percezione sensibile”. L’opposizione fra sensibile e intelligibile è soltanto un risultato della filosofia platonica: l’equivalente greco di “spirito”, “intelletto”, – e cioè la parola νοῦς – non indica altro che l’immediatezza della percezione più precisa di qualcosa, come ha dimostrato von Fritz in un bel saggio. Così, anche αἴσθησις indica l’immediatezza dello scorgere qualcosa, o, come diremo noi, la “schietta evidenza”. E se ne può trovare conferma persino nel vocabolario di Aristotele.

            In tal modo, la risposta del matematico prende improvvisamente senso. Anche se non ci si libera del tutto dalla meraviglia che questi matematici avessero familiarità e amicizia con un oratore come Protagora, almeno si capisce assai bene che si fossero allontanati dal suo mestiere della pura argomentazione dialettica e si fossero rivolti a una cosa così solida come la matematica. Nella matematica c’è evidentemente conoscenza. Di fronte all’uso sconcertante dell’argomentazione formalistica che i maestri della nuova moda dell’eloquenza e della tecnica della discussione avevano diffuso potrebbero esserci buoni motivi per dire che il sapere è qualcos’altro, e cioè “schietta evidenza”.

            È soltanto Socrate, con la sua ben nota maniera di discutere, a mettere a nudo quanto vi è di concettuale in questa risposta mediante argomentazioni dubbie, e collegarvi un sensismo estremo. Questo procedimento è tipico della sua ἔλεγξις, tipica dello stesso procedimento sofistico, fondata sul principio per cui chi non è in grado di rimanere fermo, imperturbato di fronte a ciò che pretende di sapere, invero non sa. In verità, nell’intero sviluppo del dialogo si tratta sempre di due tesi che vengono poste in discussione separate, l’una indipendente dall’altra, e l’una dopo l’altra: la definizione di sapere come αἴσθησις viene indicata come definizione di Teeteto; la tesi dell’uomo misura, invece, come tesi di Protagora. Non c’è dunque alcuna necessità di considerare i matematici addirittura come seguaci della tesi di Protagora, il quale, come si è detto, è sceso esplicitamente in campo contro i matematici. Anche l’immagine di Protagora dell’omonimo dialogo platonico vi corrisponde. Protagora guarda con sdegno a tutti quelli che si occupano di matematica e si vanta di promuovere nient’altro che la virtù politica nominata, con un’espressione di moda, ἐπιβουλία.

Rimane però un problema effettivo cui rispondere: come mai nel nostro dialogo Teodoro in generale viene presentato come un vecchio amico di Protagora? E come mai tanto Teodoro quanto il suo discepolo Teeteto hanno familiarità con il libro di Protagora sulla verità? (Teeteto dice di averlo letto spesso). La questione è su quale terreno questi matematici potessero in generale convenire col principio di Protagora. A questo punto posso avanzare soltanto un’ipotesi: non potrebbe forse per i matematici aver senso dire che l’uomo è la misura di ciò che è, se si considera che i numeri e le figure della matematica si realizzano in generale soltanto attraverso una nostra costruzione?

            Per l’esperto di matematica ha senz’altro pienamente senso dire che per lui i triangoli disegnati nella sabbia non sono la stessa cosa che per il profano: per lui sono evidentemente triangoli matematici. Prima che Platone avesse scoperto le implicazioni ontologiche della matematica, era certo possibile che il modo in cui il matematico concepiva il suo procedimento coincidesse per un certo tratto con il modo di concepire il procedimento retorico quale Protagora l’aveva formulato. Per il matematico, cioè, qualcosa vale come triangolo perché egli considera tale la figura tracciata nella sabbia, e similmente per il politico qualcosa vale come diritto perché così è stato deciso dalla polis. D’altro canto, si capisce benissimo in che senso Teodoro alla fine si sia allontanato dai discorsi di Protagora. Tanto Teodoro quanto Teeteto si occupano effettivamente di matematica; solo: non sono in grado di dire propriamente ciò che fanno quando se ne occupano – questo è lo sviluppo dialogico che si annoda nel Teeteto. Teodoro e Teeteto non sanno con chiarezza che cosa siano propriamente gli oggetti della propria scienza. È chiaro però che tali oggetti o figure non sono quelli che s’incontrano semplicemente con i sensi. Soltanto la svolta platonica del pensiero, la “fuga nei λόγοι” del Fedone ha chiarito il carattere puramente noetico della matematica. Ed è su questa svolta che si basa esplicitamente l’elaborazione della dottrina pitagorica degli opposti che troviamo nel Filebo. Soltanto in base a questa distinzione ontologica fra ciò che pertiene alla νόησις e ciò che pertiene alla αἴσθησις diventa possibile distinguere concettualmente le autentiche dimostrazioni matematiche dalle dimostrazioni apparenti e pseudo-matematiche, come ho mostrato nel mio saggio sulla Settima Lettera.

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